Anna Karenina di Lev Tolstoj, pubblicato nel 1877, è
riconosciuto come uno dei capolavori della letteratura di
tutti i tempi.
La storia di Anna Karenina,
coniugata con Aleksjéj Aleksàndrovič Karenin, e del suo amore tormentato per il
giovane ufficiale conte Alekséj Kirillovič Vronskij è nota: per lui Anna decide di lasciare il
marito e il figlio di otto anni Serjòža, una scelta che la porterà a vivere un’
umiliazione a tutto campo che ella risolverà con il suicidio.
Parallela
alla storia d’amore tormentata e infelice di Anna e Vronskij si dipana quella
tra Levin e Kitty che invece proprio nel
matrimonio vede una serenità di vita possibile. I quattro personaggi sono
legati tra loro da legami familiari, di amicizia o sentimentali: Kitty (Katerina
Aleksandrovna Ščerbackaja) è la giovane diciottenne che il giovane Vronskj, aristocratico
ufficiale in carriera, frequenta e “inconsapevolmente” corteggia prima di
incontrare Anna; il timido trentaquattrenne Konstantin Dmitrič Levin è invece amico,
sin dalla giovinezza, del fratello della Karenina, il principe Stepàn
Arkàdjevič Oblonskj, (Stiva) che ha sposato la sorella maggiore di Kitty, Daria
Alexandrovna (Dolly) dalla quale ha avuto sette figli.
La
celeberrima frase che dà l’avvio al libro “Tutte
le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice
a modo suo. “ accende i riflettori a Mosca nell’interno della casa di Stiva
e Dolly in piena crisi matrimoniale, mentre Anna, in viaggio da Pietroburgo,
sta andando in soccorso al fratello Stiva per mediare e convincere la cognata Dolly
a non chiedere il divorzio. Anna ancora non conosce Vronskij ma sarà proprio la
stazione dei treni a divenire un luogo di incontro ma anche di morte, luogo segnato
sin dagli inizi da una premonizione che scandirà l’intera vicenda, fino al suo
tragico epilogo, quando Anna troverà la morte lasciandosi cadere sotto un
treno.
Tolstoij
dipinge un grande affresco e in esso un trittico di coppie dove Stiva-Dolly non
solo sono funzionali a legare i personaggi principali tra loro, ma offrono al
lettore due ritratti stupendi e un altro esempio di matrimonio, dove l’amore
extraconiugale del marito viene tollerato, suo malgrado, dalla moglie, la quale
riverserà il proprio amore sui figli.
Anna
e Dolly, cognate, entrambe sposate legate da un grande affetto, eppure così
diverse e i cui destini si snodano tra ferite e sofferenze che sono la spia
della condizione femminile del tempo. Agli inizi del romanzo è Anna ad andare
in soccorso alla cognata Dolly ferita dal tradimento del marito, verso la fine sarà
Dolly a ricambiare l’affetto di una visita ad Anna, rimasta esclusa dalla buona
società per aver lasciato il marito e il figlio ed essere andata a convivere con
Vronskij.
Dolly
è sinceramente affezionata alla cognata che, a differenza di lei, ha avuto la
forza di seguire il proprio cuore: invidia Anna proprio perché ha avuto il
coraggio di fare ciò che lei invece non ha saputo fare. Durante il viaggio
verso Vozdvíženskoje, dove Anna si è stabilita con Vronskij, i pensieri le si
affastellano: ripensa alla sua vita e vorrebbe essere al posto di Anna,
proietta su di lei ogni felicità e realizzazione possibili. In lei vede ciò che
le sembra mancare alla propria vita; durante il viaggio Dolly fantastica,
costruisce castelli ma poi, una volta giunta da Anna, si rende conto della
situazione e della sua sofferenza. Ha fretta di rientrare a casa dove una volta
arrivata dimenticherà “quell’indefinito
senso di scontentezza e di disagio che aveva provato da loro”.
Tolstoij
è magistrale nel dipingere tutte le contraddizioni, i lati chiari e oscuri dei
suoi personaggi. Se ci concentriamo su ciascuno di loro, emergono volti e voci
pieni di vita che il lettore attento ascolta e comprende. E a legger bene anche
il marito ha la sua storia e i suoi dolori e il suo sentire. Lo stesso marito
della Karenina, Aleksjéj Aleksàndrovič è cresciuto orfano, educato da uno zio, un
burocrate importante, è stato instradato verso la carriera del funzionario
governativo. Occupa uno dei posti più importanti nel ministero cui appartiene
il tribunale. Prima di sposarsi, trascorre una vita un po’ in solitudine, senza
coltivare né amicizie né relazioni. Si sposa con la giovane Anna per insistenza
della zia di lei che “ l’aveva fatto
incontrare […] con sua nipote e lo aveva messo nelle condizioni di dichiararsi
o di andar via dalla città …. Ma la zia di Anna gli aveva già fatto dire per
mezzo di un conoscente che lui aveva già compromesso la ragazza e che un dovere
d’onore lo obbligava a far la proposta di matrimonio. Lui aveva fatto la
proposta e aveva dato alla fidanzata e alla moglie tutto il sentimento di cui
era capace. Karenin era un uomo di fatto congelato, che avevo represso le
proprie emozioni e sentimenti. “Aleksjéj
Aleksàndrovič aveva vissuto e lavorato per tutta la sua vita negli ambienti
impiegatizi, che avevano a che fare coi riflessi della vita. E ogni volta
ch’egli si imbatteva nella vita stessa, se ne scostava”. Egli veste i panni
del cristiano bigotto che si è evoluto e irrigidito verso una fede
“superstiziosa”. Quando, infatti, egli dovrà decidere se concedere o meno il
divorzio alla moglie, si rivolgerà per chiedere consiglio sul da farsi, a un
balordo e falso guaritore francese che finge di parlare nel sonno ma che in
realtà sa ben spillare ai ricchi aristocratici russi fior di quattrini,
ospitalità e onori.
Alekseij,
abbandonato dalla moglie, è un uomo ferito e sa quanto la società sia spietata.
Sa che ciò che la società gli rimprovera è proprio il suo dolore: “Sentiva
che non poteva allontanare da sé il disprezzo della gente, perché quel
disprezzo non derivava dal fatto che egli fosse cattivo (in questo caso avrebbe
potuto sforzarsi di essere migliore), ma dal fatto che lui era infelice in modo
vergognoso e ripugnante. Sapeva
che per questo, per il fatto stesso che il suo cuore era dilaniato, loro
sarebbero stati spietati nei suoi confronti. Sentiva che la gente lo avrebbe
annientato, come i cani dilaniano un cane ferito che guaisce dal dolore. Sapeva
che l’unica salvezza dalla gente stava nel nascondere le sue ferite, e questo
aveva inconsciamente tentato di fare due giorni, ma adesso non si sentiva più le
forze di continuare questa impari lotta. Karenin sa bene che la
propria “debolezza” può essere fonte di
disprezzo.
Karenin
e Anna. Un matrimonio senza amore, dove nessuno si sente amato. Ma Anna non solo
non si sente amata dal marito, ma nemmeno da Vronskij, l’uomo per cui ha
sacrificato tutto. “Cosa cercava egli in
me? Non tanto amore quanto soddisfacimento di vanità. […] Sì, in lui c’era il
trionfo del successo di vanità. S’intende c’era anche l’amore, ma la parte
maggiore era l’orgoglio del successo. Egli si vantava di me. Adesso è passata.”
Il terrore di essere abbandonata dal giovane ufficiale non fa che aumentare la
sua ansia e la sua disperazione. Percependo se stessa come il problema e
obnubilata dalla vendetta nei confronti dell’amante da cui si sente
abbandonata, Anna decide di togliersi la vita. Il grande dramma di Anna è
questo vuoto e mancanza di amore che Tolstoij ci restituisce in modo
magistrale, attraverso i pensieri di Anna nei confronti del marito: “Ha ragione! Ha ragione!” si disse. “Si
capisce, lui ha sempre ragione, lui è cristiano, lui è magnanimo! Sì, che uomo
vile disgustoso! E questo nessuno all’infuori di me lo capisce e lo capirà; e
io non posso spiegarlo. Dicono: è un uomo religioso, morale, onesto,
intelligente; ma non hanno visto quello che ho visto io. Loro non sanno che per
otto anni lui ha soffocato la mia vita, ha soffocato tutto ciò che c’era in me
di vivo, che mai una volta ha pensato che io sono una donna viva che ha bisogno
d’amore. Non sanno come mi offendeva a ogni passo e rimaneva soddisfatto di sé.
E io non mi sono sforzata con tutte le forze di trovare una giustificazione
alla mia vita? Ma è venuto il momento in cui ho capito che non potevo più
ingannare me stessa, che ero viva, che non avevo colpa se Dio mi ha fatto così,
che avevo bisogno di amare e di vivere. E adesso? Mi avesse uccisa, avesse
ucciso lui, avrei sopportato tutto, perdonato tutto, ma no, lui….”
Le
due storie d’amore “protagoniste” Anna-Vronskij e Levin-Kitty si fanno da
contro canto l’una con l’altra, tutti e quattro i personaggi sono alla ricerca
di un amore che li appaghi, ma ciascuno parte da premesse diverse e reagisce
alla mancanza d’amore in modo diverso. Guardare a queste coppie secondo lo
schema: l’amore-tormentato- è-bello- e-se-non-è–tormentato-vuol-dire-che–non-è–vero-amore-mentre-l’amore-coniugale-è-noioso-e-scontato
sarebbe non rendere giustizia al grande affresco dipinto da Tolstoij, così
profondo e magistrale nel restituire al lettore un’introspezione dei personaggi
così attuale, nonostante i grandi cambiamenti e le profonde trasformazioni che
la società e la condizione femminile hanno subito nei secoli.
Durante
uno dei suoi monologhi interiori, Anna guarda alla vita da una prospettiva che
non lascia spazio: “Non siamo forse tutti
gettati nel mondo soltanto per odiarci a vicenda, e poi tormentare noi stessi e
gli altri?” Agli inizi della sua relazione con Vronskij, Anna è convinta di
non poter scegliere tra il suo amante e suo figlio (come suo marito cerca di imporle):“Sentiva che quella posizione di cui godeva
nel mondo, e che al mattino le era sembrata così poco importante, che quella
posizione le era cara, che lei non avrebbe avuto la forza di cambiarla nella
posizione ignominiosa della donna che abbandona il marito e un figlio e si
unisce con un amante; che per quanto si fosse sforzata, non sarebbe stata più forte di se stessa.
Non avrebbe mai provato la libertà dell’amore ma sarebbe rimasta per sempre una
moglie colpevole, sotto la minaccia incessante d’essere mascherata, una moglie
che ingannava il marito per un legame vergognoso con un altro uomo, che nulla
legava a lei, con il quale non poteva vivere una vita non doppia. Sapeva che
così sarebbe stato, e nello stesso tempo ciò era così orribile che non poteva
neppure immaginarsi come sarebbe andata a finire. E piangeva, senza
trattenersi, come piangono i bambini puniti.”
Tuttavia
l’amore per Vronskij farà allontanare Anna dal suo amato Serjòža, e le farà
compiere ciò che fino a poco tempo prima le sarebbe parso inconcepibile: “Anch’io pensavo di volergli bene [a
Serjòža] , e mi commovevo dinanzi alla
mia tenerezza. E ho vissuto senza di lui, e l’ho scambiato con un altro amore e
non mi sono lamentata di questo baratto, finché mi accontentavo di quell’amore.”
Anna
e Lévin sembrano percorrere due strade contrarie, opposte.
Anna
è delusa dal proprio matrimonio che le è stato, comunque, imposto dalla sua
condizione: è la zia ad aver combinato tutto.
Ma è anche delusa dal suo amante. La sua spirale emotiva e sentimentale è
autodistruttiva. Non è così per Lévin che riesce, invece, a costruire negli
anni una vita che sente propria.
La
ricerca di Lévin dell’amore e della felicità non è tranquilla e lineare, al
contrario essa segue un percorso accidentato, fatto di delusioni, paure. Ma per
Lévin, uomo, sembra essere “più semplice”, sicuramente è diverso. Egli si
allontana dalla società mondana, si ritira in campagna, va alla ricerca di una
vita più vera, e in quanto uomo, lo può fare: è un possidente terriero, ha un
nome di famiglia importante, insomma ha le spalle e le condizioni per poterselo
permettere.
Quando
Lévin si innamora della giovane Kitty infatuata di Vronskij, la va a chiedere
in sposa. Ma Kitty, sebbene Lévin sia un buon partito, è soggiogata dal mondano Vronskij (come sua
madre lo è del patrimonio!). Eppure Levin, anche dopo il rifiuto di Kitty alla
sua proposta di fidanzamento “si sentiva
se stesso e non voleva essere un altro. Egli adesso voleva solo essere migliore
di com’era prima. In primo luogo da quel giorno egli decise che non avrebbe più
sperato una felicità straordinaria, come gliela doveva dare il matrimonio, e in
conseguenza di ciò non avrebbe disdegnato tanto il presente. In secondo luogo,
egli non si sarebbe mai più permesso di lasciarsi trascinare dalla sconcia
passione, il cui ricordo lo aveva tormentato tanto quando era in procinto di
far la proposta di matrimonio.”
È
la reazione di Lévin al rifiuto di Kitty ad indicargli una strada da
percorrere. Osserva i matrimoni altrui, e mai vorrebbe fare la stessa fine. Per
lui, è convinto, sarà diverso. Ma quando, finalmente, riuscirà a sposare Kitty,
dopo averla tanto attesa e sognata, egli stesso non sfuggirà al sentimento di delusione
nei confronti della vita matrimoniale: “Era
felice, ma affatto diversamente da come se l’aspettava. A ogni passo trovava
una delusione dei sogni di prima e un nuovo fascino inaspettato. Era felice,
ma, entrato nella vita familiare, vedeva a ogni passo che la cosa era
completamente diversa da come se l’era immaginata.” Ciò nonostante, la vita
matrimoniale di Lévin, nel tempo troverà la sua realizzazione e pienezza,
proprio nell’accettazione delle fragilità e dell’imperfezione. Lévin continuerà
anche la sua ricerca spirituale, continuerà ad interrogarsi sul senso della
vita, sull’esistenza di Dio, sul bene e il male.
Tolstoij
chiuderà il grande affresco proprio con il pensiero di Levin, riconciliato nel
profondo non solo con il proprio matrimonio ma con l’imperfezione della
condizione umana, alla luce della fede: “Questo
nuovo sentimento non mi ha cambiato, non mi ha reso felice, non mi ha
rischiarato di colpo, come sognavo; così come non lo ha fatto il sentimento per
mio figlio. Anche qui non c’è stata nessuna sorpresa. Si tratti o no della fede
– di preciso non so cosa sia – questo sentimento è entrato in me attraverso le
sofferenze in modo egualmente inavvertito e si è fermamente stabilito nella mia
anima.
Mi arrabbierò egualmente con il cocchiere
Ivan, egualmente discuterò, esprimerò a sproposito i miei pensieri, ci sarà
sempre lo stesso muro fra il sacrario della mia anima e gli altri e perfino con
mia moglie, la brontolerò egualmente per lo spavento che ho provato, e ne
sentirò rimorso, egualmente non capirò con la ragione perché prego e potrò
pregare, ma cha la mia vita, qualunque
cosa accada, in ogni suo momento, non solo non è priva di senso come prima, ma
ha un significato sicuro che le deriva dal bene su cui io posso fondarla.”
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