mercoledì 11 febbraio 2009

L'ANNO NUOVO - ROSH HA-SHANAH, cap. 6 di Luci accese di Bella Chagall


In altre pagine del mio blog, si possono trovare altri capitoli del libro di Bella Chagall, Luci accese. 
La traduzione che qui propongo, cerca di riestituire la lingua di Bella (ci devo ancora lavorare un po'! ma intanto la pubblico lo stesso) che racconta la sua vita a Vitebesk. Le frasi sono brevi e spezzate, le forme semplici, e il lessico è quello di una bimba di nove anni che riesce comunque  a trasmetterci tutta l'emozione di quella festa. I preparativi prima della preghiera al tempio, la sinagoga gremita di uomini donne bambini invasa dal suono dello shofàr, la purificazione nelle acque del fiume per i peccati commessi durante tutto l'anno e la benedizione dei frutti nuovi. 

L'ANNO NUOVO - ROSH HA-SHANAH, cap. VI di Luci accese di Bella Chagall
Giungono i giorni di Teshuvah. La casa si riempie tutta di rumori. Ogni festa porta con sé il proprio sapore e si ammanta di un’atmosfera tutta sua. L’aria dell’Anno Nuovo: leggera, misericordiosa, tersa come dopo una pioggia. Dopo le notti buie delle preghiere di Teshuvah, si rischiara un giorno luminoso e pieno di sole. La settimana delle preghiere di Teshuvah è quella meno tranquilla. Papà si alza nel pieno della notte, sveglia i miei fratelli; si vestono in silenzio e svaniscono, come ladri, dietro alla porta. Cosa cercano nel freddo e nel buio delle strade? A letto, si sta così al caldo! E se non tornassero più? Non smetterei di piangere con la mamma. Sto per iniziare già da sola e sprofondo sotto le coperte, raggomitolandomi ancora di più. Al mattino, papà beve il tè: il viso pallido, sfinito. In tutti, l’eccitazione prima della festa manda via la stanchezza.
Chiudiamo presto il negozio e tutti ci prepariamo per andare in sinagoga. Lo facciamo con più cura del solito, come se ci andassimo per la prima volta. Ognuno si mette qualcosa di nuovo: chi un fresco cappello chiaro, chi una cravatta nuova, chi un vestito tutto nuovo…Anche la mamma si mette una camicetta di seta bianca, e come rigenerata, con spirito nuovo, si appresta ad andare in sinagoga. Mio fratello maggiore sfoglia il grande libro delle preghiere e segna, per lei, le pagine della preghiera dove, da anni, la mano di mio nonno ha scritto “qui”. La mamma riconosce i versetti che l’anno scorso ha cosparso di lacrime. Un tremolio le vela gli occhi. Si affretta verso la sinagoga per poter piangere sulle stesse righe, come se fosse qualcosa di mai accaduta prima.
Pronta per lei c’è una pila di libri molto pii. Lei li avvolge tutti in un grande fazzoletto e li porta via con sé: non deve chiedere un buon anno per tutta la sua famiglia? I libri e il talleth di papà, invece, li viene a prendere il custode durante il giorno. Resto sola. La casa è deserta e anch’io mi sento vuota come la casa. Il vecchio anno, come si fosse perduto, si attarda, da qualche parte dietro alle finestre. L’anno che viene dovrà essere davvero chiaro, luminoso.
Vorrei dormire insieme alla notte.
L’indomani, presto, andrò anch’io in sinagoga vestita con abiti nuovi dalla testa ai piedi. Il sole risplende. L’aria è limpida e viva. Le mie scarpe nuove fanno un rumore secco. Mi affretto. Di sicuro in sinagoga il Nuovo Anno è già arrivato e già risuona lo shofar: mi riecheggia nelle orecchie. Ho l’impressione che il cielo sia sceso fin sulla terra per correre con me al tempio. Mi dirigo verso la parte riservata alle donne, spingo la porta. Una vampata di calore, come d’un forno, mi viene addosso. Un’ aria pesante mi toglie il respiro. La sinagoga è piena. Gli alti leggii sono invasi dai libri. Delle donne anziane se ne stanno sedute comodamente mentre alcune ragazze in piedi sbucano fuori, quasi sopra alle loro teste. I bambini cercano di farsi strada, sotto le loro gambe. Vorrei avvicinarmi alla mamma, ma è seduta davanti, ben lontano, vicino alla finestra che dà sulla parte riservata agli uomini. Non appena mi muovo, una donna si gira con le spalle verso di me: un volto in lacrime mi rivolge uno sguardo arrabbiato: “Oh! Oh!” effonde intorno a me il suo corruccio. Da dietro mi spingono, e come liberata, vado addosso alla balaustra. La mamma mi fa un cenno con gli occhi. E’ contenta che sia già vicino a lei. Ma dov’è lo shofar? Dov’è il Nuovo Anno? Guardo le pareti della parte riservata agli uomini. L’Arca Santa è chiusa: è coperta dalla tenda e custodita, nella quiete del silenzio, dai due leoni che vi sono ricamati sopra. Gli uomini si rianimano come presi da qualcos’altro.
Sono arrivata troppo presto o troppo tardi?
D’un tratto, da sotto un talleth si protende una mano con lo shofar. Lo shofar ora è lì, nell’aria, immobile. Emette un suono. Tutti si risvegliano. Ognuno smette di parlare tra sé e sé. Stiamo tutti in attesa. Lo shofar, ancora una volta, diffonde nell’aria un suono spezzato come se non avesse più fiato. Da una parte all’altra s’incrociano gli sguardi. Lo shofàr, come un grido, emette un suono forte, roco. Per tutta la sinagoga si diffonde un brusio:  ma cos’è questo modo di suonare lo shofar? Manca di forza…perché non chiedere a qualcun altro di suonare? All’improvviso, sentiamo un suono pulito e prolungato, come se gli spiriti maligni che ostruivano lo shofar, fossero stati scacciati: come un richiamo, si diffonde per tutta la sinagoga, fino a riempirne ogni angolo. Tutti sono sollevati! Chi fa un sospiro, chi annuisce con un cenno del capo. Il suono si propaga verso l’alto fino a toccare i muri. Viene verso di me, verso la mia balaustra. Raggiunge il soffitto, smuove l’aria spenta, sigilla ogni spazio vuoto. Mi penetra nelle orecchie, nella bocca: ho addirittura male alla pancia. Quand’è che lo shofar non avrà più fiato? Cosa vuole da noi l’Anno Nuovo?
Mi ricordo di tutti i miei peccati. Dio sa cosa accadrà. Sono tanti i peccati che si sono accumulati durante l’anno. A fatica, riesco aspettare il pomeriggio. Ho fretta di andare con la mamma alla Purificazione del Tachlich per poter scrollare via i miei peccati nel nostro grande fiume. Lungo la strada, altre donne, altri uomini. Tutti vanno giù per la stradina che porta alla riva. Sono tutti vestiti di nero, come se andassero – non voglia Iddio – a un funerale. L’aria è fresca. Il vento fa sentire le sue sferzate dall’alta riva del fiume e dal grande giardino della città. Alcune foglie volano, rossastre, gialle e come farfalle volteggiano nell’aria: piroettando, cadono a terra. Se ne volano via così anche i nostri peccati? Crepitano le foglie e si attaccano agli scarponcini. Me le trascino dietro: con loro è meno duro andare al “Tachlich”. “Perché ti fermi sempre?”, la mamma mi tira per la mano. “Lascia stare le foglie!” Di lì a poco, tutti si fermano. La strada si è come scissa: acque profonde e fredde sembrano riversarsi sui nostri piedi. In riva al fiume si addensano, in cerchio, uomini in nero. Coi capi protesi e le barbe ciondolanti, s’immergono nell’acqua come se ne volessero vedere il fondo. D’un tratto, rovesciano le tasche: ne vengono fuori avanzi e briciole che gli uomini gettano nell’acqua insieme ai loro peccati, recitando ad alta voce una preghiera. Ma come faccio io, a scrollarmi di dosso tutti i miei peccati? In tasca non ho briciole e non ho nemmeno le tasche! Me ne sto in piedi vicino alla mamma e tremo per il vento freddo che solleva le gonne. La mamma mi sussurra le parole del rito: le preghiere, con i peccati, dalla bocca cadono dritte nell’acqua. Mi sembra che il fiume si sia ingrossato per tutti i nostri peccati e che trasporti acque divenute improvvisamente nere.
Purificata, faccio ritorno a casa. La mamma, appena entrate, si siede per leggere i salmi. Vuole approfittare ancora un po’ del giorno per domandare ancora qualcosa a Dio. Un mormorio si diffonde per la stanza buia. L’aria si annebbia come gli occhiali della mamma che in silenzio piange, scuotendo il capo.
Cosa devo fare?
Mi sembra che dai fitti versetti dei salmi sguscino fuori, piano piano, i nostri avi: i nonni, le nonne. Le ombre diventano sempre più grandi, si assottigliano e mi accerchiano. Ho paura di girarmi. Forse qualcuno si è messo dietro di me e vuole abbracciarmi? “Mamma!” non riesco a trattenermi e la tiro per la manica. Lei alza il capo, si soffia il naso e smette di piangere. Bacia il salterio e lo chiude. “Bachka – mi dice – torno in sinagoga. Tra poco rientreremo tutti. Tu piccola mia prepara la tavola” “Mamma è per la benedizione delle Primizie?”. Non appena è uscita, apro bene l’armadio delle provviste. Tiro fuori dei grandi sacchi di carta colmi di frutta e li rovescio sulla tavola. Come in un grande giardino rotolano fuori grossi meloni verdi. Al loro fianco, se ne stanno distesi grappoli d’uva. Uva bianca, rossa. Grosse pere succose hanno ruotato sulle loro testoline. Mele dolci, gialle diventano dorate come se le avessimo già immerse nel miele. Prugne rosso scuro si spandono per tutta la tavola. Su cosa faremo la benedizione dei frutti nuovi? Ne abbiamo mangiati per tutto l’anno! Da un altro sacco, mi accorgo che spunta fuori un ananas: sembra un piccolo abete. “Sacha, tu lo sai dove cresce un ananas?” “Chi lo sa! – mi risponde alzando le mani - Ho ben altro a cui pensare!” Nessuno sa da dove provenga l’ananas. Con la sua buccia callosa ricorda uno strano pesce. Soltanto la sua coda se ne sta dritta in aria come un ventaglio interamente aperto. Tocco il suo pancino pieno zeppo. Trema tutto. Non è semplice toccarlo. Si potrebbe dire che se ne sta lì come uno zar. Per lui libero il centro della tavola. Sacha lo taglia senza pietà. Come un pesce vivo, l’ananas geme sotto il coltello affilato. Il suo succo zampilla fin sulle mie dita come sangue bianco. Lo lecco. Un gusto amaro-dolce. E’ il gusto del Nuovo Anno?
“Mio Dio!” mormoro in tutta fretta “prima che rientrino tutti dalla sinagoga, pensa a tutti noi! Al tempio, mamma e papà, T’implorano tutto il giorno per un buon anno. Papà pensa di continuo a Te e la mamma, ad ogni passo, ricorda il Tuo Nome! Tu lo sai quanto sono sfiniti, pieni di preoccupazioni, mio Dio! Tu puoi tutto! Fa che possiamo avere un anno buono e dolce!” Con forza, cospargo di zucchero l’ananas amaro. “Buona Festa! Buona Festa!” I miei fratelli accorrono gridando uno più forte dell’altro. Subito dopo di loro, la mamma e il papà entrano pallidi e stanchi. “Possiate essere iscritti nel Libro della Vita per un anno buono”. Sento il cuore sobbalzarmi. Sembra che Dio stesso abbia parlato per mezzo della loro bocca.
Traduzione di Maddalena Cavalleri (Bella Chagall, Luce accese, éd. Trois collines, Genève-Paris, 1948)

martedì 10 febbraio 2009

LA PACE IRRAGGIUNGIBILE


Questa sera, tornando a casa da scuola, ascoltavo per radio (radio 1) una brevissima trasmissione dedicata alla Giornata del Ricordo. Oggi è il 10 febbraio. Mentre ascoltavo, pensavo a come ogni tragedia abbia bisogno di tempo per essere ascoltata, recepita e accolta dalle popolazioni. Per molti anni - nessuno può ormai negarlo -  abbiamo rimosso le foibe; non se ne parlava soprattutto perché non vi era un terreno favorevole per poterlo fare. Oggi, grazie alla Giornata del ricordo, il 56% degli italiani sa cosa sono le foibe, mentre prima, sì e no il  20%, sapeva cosa fossero (almeno così informava per radio il Presidente dell'Associazione). La giornalista che conduceva la trasmissione ricordava il dramma di coloro che erano stati costretti a lasciare la loro terra, le loro case, il lavoro. Parlavano di una "grande ferita" che difficilmente guarisce e del trauma di un popolo, di più generazioni. 

Il XX secolo è ormai celebre per le sue tragedie: la Shoah, i lager sovietici, lo sterminio degli Armeni..., e la storia ci insegna che non ci sono i "buoni" e i "cattivi" ma che ogni popolo, ogni essere umano porta in sé luce e ombre, contraddizioni, incoerenze.
Tanti sono stati costretti a lasciare le loro case.
Oggi, se ci sono tanti immigrati che invadono "le nostre città" è perché miseria, regimi, guerre costringono le persone a fuggire pur di darsi una speranza di vita migliore. Per questo non posso non sentirmi una privilegiata e quindi non vorrei "pontificare" dalla comoda poltrona sulla quale sono ora seduta.
Non so perché, ma tra le tante tragedie, quelle dei popoli di Israele e di Palestina continuano a catalizzare la mia attenzione. Mi sento coinvolta e responsabile in quanto cittadina italiana e europea.  
Sempre navigando su internet mi sono imbattuta in questo video della CBS che propongo di seguito. Mi sembra ben fatto e che possa aiutare a conoscere lo stato d'animo di molti arabi palestinesi. 



Per un approfondimento del Giorno del Ricordo, segnalo invece questo sito:


Le tragedie sono ben diverse, ma sono comunque sempre tragedie per chi le vive.