mercoledì 21 gennaio 2015

LA GRANDE VIE di Christian Bobin (Gallimard 2014)





La grande vie si apre con una lettera a Marceline Desbordes-Valmore (1786-1859). Fa freddo, l’autore si trova alla Gare du Nord. Si sente smarrito in mezzo alla folla, ha bisogno di un riparo. Lo trova nei versi di Un Rêve intermittent d’une nuit triste. La voce di questa poetessa, giunta da un tempo lontano, ora è lì, vicinissima. “I libri sanno ascoltarci”, dice Bobin durante una presentazione del volume. Come sempre, per lo scrittore francese, un libro è un volto che apriamo e che può consolarci. Con lui possiamo fare un po’ di strada, trascorrere del tempo. Un libro è una voce, un volto che ci viene in soccorso, che ci illumina e che ci può restituire la vita nella sua pienezza. La lettera rivolta alla poetessa amata da Hugo, Baudelaire e Rimbaud, fa da Ouverture a tutto il libro, suddiviso in sette parti, ciascuna recante un titolo tratto da frammenti di frasi che si trovano al suo interno. Sette sezioni ovvero sette note, ma potremmo dire sette parti vocali di una grande e unica partitura, ciascuna caratterizzata da brevi quadri che, come righi musicali, si possono sovrapporre gli uni sopra gli altri e dove Bobin scrive la grande vie, la bella vita che non è quella che possiamo incontrare nelle grandi gioiellerie di Place Vendôme, ma quella che troviamo in ciò che vi è di più semplice e di più disarmato. Come i tre clochard che egli scorge sugli Champs Elysées dove si sente perso. Senza questo stato d’animo, simile a quello provato alla Gare du Nord, egli non sarebbe stato in grado di vedere, di scorgere una donna china su di loro. Questo gesto, questa scena: il volto di un clochard che prende luce dal gesto della donna, è pura poesia - la grande vie. E se alla Gare du Nord a dargli riparo è stata una poesia di Marceline Desbordes-Valmore, ora è la vita reale a riportarlo alla vita pura dove un volto d’uomo si illumina di gioia per una parola di sollievo ricevuta.
Anche in quest’ultima opera, Bobin ci restituisce quella parte di noi, a volte un po’ bistrattata, tenuta in sordina. Con la sua voce, noi entriamo nella vita in pienezza. Ogni quadro ci porge la luce necessaria per vedere. “Cos’è vedere?”, si chiede nella prima sezione del libro caratterizzata per di più da episodi di vita quotidiana, dove il fuoco del camino, la cucina, uno scoiattolo, il gesto di tagliare il pane, una lieve ferita al dito, gli rivelano un senso della vita trasfigurato, nonostante il dolore e il male.

In questo libro, ritroviamo i temi e gli amici tipicamente bobiniani: gli animali, i fiori: “ho iniziato i miei studi nei libri e li ho continuati nella lettura dei fiori e degli animali”[1]; qui e là scorgiamo i suoi affetti, le passeggiate, le visite al cimitero dove sono sepolti i suoi cari; insieme a lui, impariamo ad osservare la gente che egli incontra e che trasfigura in folla o volto, come la madre china sul proprio bimbo in un negozio di alimentari; Bobin riesce a dare corpo a “La donna in blu” intenta a leggere una lettera, dipinta da Vermeer o trasfigura il paesaggio, che riaffiora lungo la strada di Le Creusot mentre egli guida dietro a un camion, in un quadro di Soulages; “un’orgia di smeraldi”, è il titolo della seconda sezione, che ci restituisce le sue letture sterminate, ripulite da narcisismi letterari: la penna scorre da Jean Baptiste Chassignet, autore del XVI secolo agli scrittori del ‘900: Ernst Jünger, l’amico André Dhotel, Marcel Jouhandeau, Robert Antelme; insieme agli scrittori incontriamo i poeti delle diverse epoche che riaffiorano qui e là nel libro: Omero, Hölderlin, Mallarmé, Hopkins, Ronsard, o il caro Jean Grosjean; con Bobin ascoltiamo la musica jazz del pianista Thelonious Monk e quella di Jean Sébastian Bach cui egli dedica un intero quadro de La grande vie; e poi ancora i filosofi: Kierkegaard, Descartes; e i mistici e i santi: Thérèse de Lisieux, San Paolo alle cui parole, che suonano come un “sole nero”, egli contrappone la leggerezza di un bimbo di tre anni che trottola tra le tombe del cimitero alla ricerca di sassolini blu: “ho visto un bambino di due anni e mezzo spazzare via la morte e scacciare il tempo del mondo. Questo lavoro titanico lo faceva canterellando, come è giusto che sia”.
E tra i tanti volti di donna emerge, in tutta la sua fragilità, il mito di Marilyn Monroe, la martire del sorriso, titolo della sezione a lei interamente dedicata composta da un unico quadro, tutto per lei.
Ma non potevano mancare gli angeli vestiti di rosso e le riflessioni sulla lettura, la scrittura e sulla morte.
La grande vie si chiude con un quadro solenne ma allo stesso tempo delicato e intimo, consacrato a una donna, a una madre che non c’è più. A sua madre? Forse. La morte sul viso la fa assomigliare a una bambina eschimese. È lei che lo ha accompagnato tra le mille angosce, è da lei che ha imparato a vivere: i suoi gesti quotidiani, fedeli, rasserenanti gli hanno insegnato a pulire lo sguardo.
Gli hanno insegnato a scrivere.
di Maddalena Cavalleri

Sulla 4^ di copertina:
«Les palais de la grande vie se dressent près de nous. Ils sont habités par des rois, là par des mendiants. Thérèse de Lisieux et Marilyn Monroe. Marceline Desbordes-Valmore et Kierkegaard. Un merle, un geai et quelques accidents lumineux. La grande vie prend soin de nous quand nous ne savons plus rien. Elle nous écrit des lettres.» 
Christian Bobin.


Di seguito i link di alcuni video dove si possono trovare delle interviste a Bobin fatte in occasione dell’uscita del libro La Grande Vie:

Trasmissione di La Grande Librairie condotta da François Busnel

Presentazione svoltasi presso la libreria La Procure a Parigi (maggio 2014)


Recensione del giornalista François Busnel apparsa sul settimanale L’Express il 6/03/2014




[1] Christian Bobin, La grande vie, Gallimard, Paris 2014, p. 82.

domenica 11 gennaio 2015

LOUISE AMOUR



Posto una foto della mia libreria dove raccolgo tutte le pubblicazioni di Christian Bobin, qualcuna manca all'appello perché prestata mentre le edizioni italiane si trovano sul retro, quindi non si vedono. Un po' alla volta chissà che in Italia non arrivino tutti i suoi libri.

Intanto, sempre tra le piccole case editrici troviamo Camelozampa edizioni (http://www.camelozampa.com) che ha da poco pubblicato Louise Amour, un libro uscito in Francia nel 2004 presso Gallimard.

Ricordo che quando lo lessi dieci anni fa, ne rimasi affascinata. Scoprivo un Christian Bobin inedito.
Ed è bello ritrovarlo nelle serate mondane, alle feste in quella Parigi più salottiera che di solito è ben lontana dalla sua vita. Ma ciò che mi piace di Christian Bobin è questa sua assoluta mancanza di snobismo intellettuale nei confronti di tutti anche di ciò che è mondano per eccellenza: il mondo delle pubbliche relazioni, dei vernissage, delle feste. Louise Amour (così chiama la protagonista femminile del suo romanzo) lo immerge nei  profumi di un mondo di cristallo che per lui, giovane trentenne che trascorre le ore immerso nelle letture lontano dalla "vita ordinaria", è più che mai salutare.
Un libro da leggere per scoprire un altro Bobin che nulla toglie, anzi aggiunge a quello che già conosciamo e che continuiamo a incontrare nelle sue più recenti pubblicazioni, non ancora tradotte per il pubblico italiano.
Grazie quindi a Camelozampa che ce lo ha portato in Italia. 

Di seguito riporto dal sito della casa editrice la presentazione del libro Luoise Amour:

Cosa succede quando un giovane teologo misantropo, che trascorre le giornate a distillare le parole dei santi, incontra una distillatrice di profumi? Il teologo abbandona Dio, il cielo e la sua gabbia di libri, per dedicarsi anima e corpo a quella donna meravigliosa che incarna una nuova religione.
Un Bobin inedito, appassionato e passionale che, nel suo unico romanzo, dietro cui non è difficile riconoscere il racconto autobiografico, parla con il consueto tocco poetico di infanzia, giovinezza, innamoramento e morte.
 (La traduzione è di Sara Saorin)


SOVRANITA' DEL VUOTO - CHRISTIAN BOBIN




E' uscito da poco un altro libro di Christian Bobin, Sovranità del vuoto grazie a AnimaMundi Edizioni, ovvero al curatore ed editore del libro Giuseppe Conoci, un "innamorato" di Christian Bobin. Grazie alla sua passione, costanza e determinazione altri libri usciranno presto. Libri che ho avuto la gioia di tradurre. Sì, perché come ho già scritto altre volte su questo blog, tradurre Christian Bobin è una vera gioia che induce a un ascolto profondo.
L'editore propone il libro con il testo francese a fronte. 
qui il link della casa editrice: http://suonidalmondo.com/edizioni/226-2014-libri-christian-bobin-sovranita-del-vuoto.html



I libri. Sono sul mio tavolo. Li ho aperti, a caso. Li ho sfogliati. È giunta una quiete: non sapevo di averne bisogno. Una felicità di leggere, anteriore all'atto stesso di leggere. Una luce carpita da questo primo sguardo, distratto, rapido. Una luce che anticipa la luce racchiusa in queste pagine. Poi ho richiuso i libri. Più tardi. La lettura sarebbe giunta più tardi, molto più tardi. 


tratto da: 
Christian Bobin, Sovranità del vuoto, AnimaMundi Edizioni 2014. 
Traduzione di Maddalena Cavalleri. 
Con un'introduzione di Mariangela Gualtieri e Chandra Livia Candiani.
A cura di Giuseppe Conoci. 

QUADERNO DI LUCE



Un altro piccolo libro di Christian Bobin, è stato pubblicato in Italia. Come sempre, dobbiamo ringraziare piccoli editori che con buona volontà cercano di far conoscere uno scrittore che sa offrire parole di sollievo e riflessione. 
La piccola casa editrice è il Gruppo Aeper di Bergamo (http://www.cooperativaaeper.it/) e il libro, Un sole che sorge, è stato loro proposto e tradotto da Norina Sottocornola, una grande appassionata di Christian Bobin. Il libro si può acquistare direttamente dal sito della casa editrice oppure su internet book shop (www.ibs.it).
Per Aeper ho scritto una postfazione che propongo qui sul mio blog con l’intenzione di diffondere la lettura di questo piccolo grande tesoro di luce.
Il libro viene proposto in Italia con il titolo Un sole che sorge ed è apparso in Francia con il titolo Carnet du soleil nel 2011 grazie alle edizioni Lettres Vives.

GLI ALBERI SONO DEI POSTINI MERAVIGLIOSI
Una biblioteca di nuvole

“Un giorno, senza pensare a nulla, guardai il tiglio fiammeggiante davanti alla finestra e appresi che Ghislaine aveva smesso di morire. Erano trascorsi tre anni dal funerale. Gli alberi sono dei postini meravigliosi” . Così Christian Bobin nel suo Una biblioteca di nuvole. Tutta la sua opera, però, è come una grande “biblioteca di nuvole”, una sorta di diario senza data, segnato dal mutare delle stagioni dove il ricordo rincorre e trasforma, come le nuvole nel cielo, i volti delle persone care che non ci sono più: la tanto amata amica Ghislaine, il padre colpito dalla malattia di Alzheimer, gli scrittori Jean Grosjean e André Dhôtel ma anche autori del passato come Emily Dickinson, Kiergegaard, Teresa D’Avila, Teresa di Lisieux, Giovanni Della Croce, senza tuttavia tralasciare alcuni amici viventi come Jean-Marie Kerwich, Alexandre Romanès.
Quando Bobin pubblica Una biblioteca di nuvole, nel 2006, dieci anni sono trascorsi da quel tragico 12 agosto 1995, giorno in cui la sua amica e coetanea Ghislaine muore per un aneurisma al cervello, all’età di soli 44 anni. Da quel momento, la scrittura di Bobin, già meditativa e densa, diverrà una risorsa preziosa per elaborare il lutto di questa grande perdita. Se allarghiamo lo sguardo su tutta la sua opera, molto vasta e cospicua, ci rendiamo conto che la scrittura non è solo una via per resistere al buio della vita, ma è, soprattutto, un carnet du soleil dove egli immerge tutto se stesso per fermare sulla pagina le scintille di luce che ancora può scorgere grazie allo sguardo di bambino. È lo stesso Bobin, infatti, a definire il “mestiere” di scrivere un métier d’enfant: tutta la sua scrittura è tesa a mantenere questo particolare sguardo sul mondo, perché “un libro perfetto ha due pagine” che, come “ali di farfalla”, disperdono nell’aria polveri di leggerezza.
La maggior parte dei libri di Bobin si caratterizza per le sue frasi brevi, spesso folgoranti, intime, sovente distanziate da spazi bianchi che danno respiro alla scrittura e invitano alla meditazione. Il silenzio, lo scrivere, l’amore, la vita, l’infanzia, la donna, le madri, la natura, i passeri, il tiglio davanti a casa, la malattia, la morte, il dolore e tanti altri sono i temi che danno avvio alla sua prosa poetica. Altre volte si tratta di un dialogo con autori del passato come Emily Dickinson, Marceline Desbordes-Valmore, Rimbaud, Pascal, Racine, o più vicini nel tempo come Antonin Artaud, André Dhôtel, Nella Bielski, Jean Genet, Marylin Monroe e tanti altri.
Christian Bobin è un autore indubbiamente prolifico: dalla metà degli anni ‘80, scrive e pubblica mediamente un libro all’anno. Tuttavia, non è un dissipatore di parole: al contrario, le impiega con sapienza. Come una ricamatrice, china sul proprio lavoro, cuce sulla pagina, un giorno dopo l’altro, quei lampi di luce che uno sguardo distratto non sa più catturare, quasi nutrisse il bisogno esistenziale di restituire a se stesso e al lettore istanti di vita pura: "Se le mie frasi sorridono è perché sgorgano dal buio" . Così ne L’Homme-joie, al cui interno, nel cuore del libro, l’editore francese ha voluto inserire la riproduzione manoscritta del carnet dai fogli celesti che Bobin aveva scritto nel 1980, con la sua grafia calda e rassicurante, a Ghislaine, appena conosciuta.
In tutti i suoi scritti, egli ci accompagna in un’altra dimensione, in una vita rinnovata, dove ogni stagione ha una durata nel tempo e un’estensione nello spazio. Se guardiamo ad alcuni titoli dei suoi primi libri, pubblicati in Francia tra gli anni ‘80 e ‘90, Sovranità del vuoto, Lettres d’or, L’elogio del nulla, Un livre inutile, Il distacco dal mondo, per citarne solo alcuni, possiamo intravedere la luce che essi emanano e ascoltare il silenzio che vi dimora: vuoto, nulla, distacco, inutilità dello scrivere evocano una dimensione appartata e raccolta in cui poter sostare. Bobin, come il colporteur (titolo di uno dei suoi primi libri), percepisce se stesso come un viandante con un sacco di parole sulle spalle che se ne va di casa in casa per portare le voci e i pensieri che si rincorrono da un paese all’altro. Ma, più che portatore di merci da vendere, egli si fa portatore di parole da offrire come sollievo, come dono. Lo fa percorrendo i luoghi della Borgogna che gli sono familiari: Le Creusot dove è nato e vissuto, la foresta e il laghetto di Saint Sernin, la cittadina di Antully, la cattedrale di Autun; i luoghi dell’Isère: il lago di Saint Sixte, la chiesa del piccolo villaggio di Saint Ondras, amatissimo da Ghislaine e il cimitero dove ora lei è sepolta. E tanti altri luoghi.
Quando scrive questi libri, Ghislaine è già entrata a far parte della sua vita. In questo primo periodo, fino al 1995, egli sembra non avere ancora conosciuto il vuoto portato dalla perdita e dalla morte delle persone care. Tuttavia, sin dagli esordi, egli inizia, grazie alla scrittura, un vero e proprio elogio del vuoto ovvero un esercizio di attenzione e di ascolto nei confronti dell’altro e del mondo esterno: dove il vuoto è la dimensione necessaria per rimanere in equilibrio come un funambolo sul filo della vita. La penna di Christian Bobin non è quella del narratore, dell’affabulatore, di colui che sa tessere e narrare delle storie con una trama ricca, tanti personaggi e grandi avventure. Al contrario, egli è meditativo, la sua scrittura è essenziale e le storie sono soprattutto storie interiori, riflessioni, stati d’animo. Vere e proprie folgorazioni per l’anima. A volte, egli ci parla della sua vita. Lo fa senza maschere. A volte racconta di sé, di ciò che gli accade: in modo esplicito o più nascosto. Spesso sono episodi dolorosi: la malattia del padre (Presenze), il dolore per la morte dell’amica Ghislaine, madre di tre bambini (Più viva che mai). Racconta le giornate di quella solitudine in Autoritratto, un diario che inizia il 6 aprile 1996, vigilia di Pasqua, e si conclude il 21 marzo 1997: uno sguardo quotidiano sulla vita, sulla morte. Meditazioni che continuano in Resuscitare e in Geai, un romanzo di formazione dove il piccolo Albain sembra fare da controcanto all’Antoine Roquentain de La Nausea di Sartre. Tra gli altri libri pubblicati in Italia, ricordiamo L’uomo che cammina, in cui Gesù è colto nel suo folle camminare; Francesco e l’infinitamente piccolo, la storia dell’infanzia di Francesco d’Assisi, libro dedicato a Ghislaine, a quel tempo ancora in vita; Folli i miei passi, che narra di una bimba nata e cresciuta in un circo. E ancora due libri, Mille candele danzanti e La parte mancante, che raccolgono una decina di brevi racconti scritti con una prosa densa e poetica dove la donna è sempre e comunque la grande protagonista e dove Ghislaine, a parere di chi scrive, è presente in filigrana. È lo stesso Bobin a rivelarcelo nel libro che scrive subito dopo la sua morte: “Tu conosci la stanza dove scrivo […]. Scrivevo per te, scrivevo solo in te, orientavo il foglio bianco verso il tuo viso, per captare più luce possibile” .
Tuttavia è con La luce del mondo (pubblicato in Francia nel 2001) che inizia, nella vita e nella scrittura di Bobin, una nuova altra stagione. Si tratta di un libro-intervista in cui Lydie Dattas, sensibile e raffinata scrittrice, conversando con l’autore, ci restituisce la voce, senza la freddezza delle domande, in una forma espressiva da cui affiora non solo la profonda intesa letteraria e spirituale tra i due scrittori, ma anche quello che potremmo definire il manifesto di Christian Bobin nei confronti del “mestiere” dello scrittore, di cui egli dice: “mi aspetto soltanto quello che ho ricevuto dai miei genitori: che mi consoli, mi illumini, mi aiuti a crescere e a separarmi da lui. Le vecchie canzoni francesi mi hanno donato davvero tanto” . 
Nella produzione letteraria di Bobin, anche il libricino che ci viene qui proposto, pubblicato dieci anni dopo La luce del mondo, segna una sua riconciliazione profonda con la morte e con la vita. Lo scrive quindici anni dopo la morte di colei che egli “ha inseguito per sedici anni”, quasi a voler rimanere fedele a una promessa fattale un giorno durante una delle loro passeggiate. Un episodio che vale la pena di raccontare, per meglio cogliere la luce che affiora dalle pagine di questo carnet. Pochi giorni prima di quel tragico 12 agosto, durante una delle loro passeggiate, egli annuncia all’amica l’intenzione di voler scrivere un libro su di lei e le confessa di avere già pronta la prima frase: “Se benedico questa vita è perché tu ci sei”, Ghislaine scoppia a ridere e per tutta risposta gli chiede: “E se io non ci fossi più in questa vita, cosa scriveresti?” A questa provocazione, Bobin in un primo tempo smarrito (entrambi ancora ignorano la morte che di lì a poco verrà), le promette che continuerà a scrivere benedicendo la vita comunque. Ghislaine ne ride soddisfatta e gli raccomanda di continuare a scrivere e non di fare mai della letteratura. Bobin non può non obbedirle: da sempre, ogni giorno, rinnova la propria obbedienza alla vita, quale che sia. Da qui la leggerezza greve della sua prosa perché, come scrive egli stesso nel suo Una biblioteca di nuvole: “la morte e la vita sono così legate l’una all’altra che non capisco perché siano state inventate due parole per esprimere quell’unico bagliore” .
Ne La luce del mondo vi è un momento in cui egli parla del dolore lacerante provocato dalla morte di Ghislaine e della scrittura che ne è scaturita: “[…] i miei primi libri dicevano l’ombra e la luce insieme, ma in Più viva che mai, che racconta la morte di un essere caro, la morte è resa irreale. La sofferenza in me ha lungamente scritto in rosa: ho portato il reale verso il rosa, mi sono messo in uno stato di assenza di gravità, per soffrire di meno. È come se avessi scavalcato il mio dolore chiudendo gli occhi per non vederlo, e ciò ha probabilmente permesso ai lettori di fare la stessa cosa e di attraversare l’impensabile. In realtà, quando ho assistito a quel funerale, ho vissuto un’esperienza quasi insostenibile: all’uscita di chiesa, c’era una campana che suonava. Non sapevo che si potesse fare tanto male all’aria. Come se la campana, per una specie di esperimento scientifico, avesse tolto l’aria fino all’asfissia. Oggi non voglio più sottrarmi al dolore. Voglio scrivere e leggere dei libri che accompagnino realmente in questi momenti, senza eludere la sofferenza, libri che non mi tradiscono e che non rischino di coprire il rintocco a morte” .
Con questo Carnet du soleil, Christian Bobin ci accompagna in questa nuova stagione fatta di rinascite e spoliazioni dove affiora la gratitudine per ciò che è stato e dove “ciò che trovo è mille volte più bello di ciò che cerco” .
Un salto nella vita, o nella morte, che verrà.

Postfazione di Maddalena Cavalleri, tratta da Christian Bobin, Un sole che sorge, Edizioni Aeper Bergamo, 2014. Traduzione di Norina Sottocornola.