sabato 8 marzo 2008

UN MIO SGUARDO SU GERUSALEMME E IL CONFLITTO 'ETERNO'







Foto 1 e 2: Gerusalemme oggi e nel 1854
Foto 3: François-Réné de Chateaubriand (1768-1848)
A 38 anni viaggia in Terrasanta: dal luglio 1806 al maggio 1807
A Gerusalemme: dal 1° ottobre al 16 ottobre 1806
Foto 4: Gustave Flaubert (1821-1880)
A 28 anni viaggia in Oriente dal 29 ottobre 1849 al 15 giugno 1851
A Gerusalemme dall’8 al 23 agosto 1850
Foto 5: Maxime Du Camp (1822-1894)
A 29 anni viaggia in Oriente dal 29 ottobre 1849 al 15 giugno 1851
A Gerusalemme dall’8 al 23 agosto 1850
Foto5 : Pierre Loti (1850-1923)
A 44 anni viaggia in Terra Santa: dal febbraio 1894 all’aprile 1894
A Gerusalemme nella Pasqua del 1894 (dal 26 marzo al 16 aprile)




Quando sono stata a Gerusalemme nel Natale del 2005, non avevo ancora letto l’Itinerario da Parigi a Gerusalemme (1806) di François-Réné de Chateaubriand né il viaggio in Oriente (1848) di Flaubert e di Maxime Du Camp, né tanto meno il diario a Gerusalemme (1894) di Pierre Loti - so che ci sono altri scrittori francesi come Lamartine, Gérard de Nerval e altri che hanno viaggiato in Oriente (oggi Medio Oriente), ma li devo ancora affrontare: sono lì pronti che aspettano.
Avevo tuttavia letto già diversi narratori del 900 e contemporanei: israeliani, ebrei, palestinesi, arabi cristiani e mussulmani e mi ero già documentata su tutta una storiografia presente sul mercato editoriale italiano, cercando più punti di vista: dagli storici israeliani come Benny Morris, Ilan Pappe a quelli palestinesi, compresi gli italiani, gli inglesi, francesi e tanti altri.
Ho inserito nei miei “preferiti” ormai tanti siti: di Israele, Palestina e Terrasanta e del Medio Oriente. Insomma, è da anni che seguo la “questione israelo-palestinese” – così come viene comunemente chiamata – e l’unica risposta che mi sono data alle ragioni della tragedia in atto in Terra di Israele e di Palestina e Terrasanta è quella di sospendere qualsiasi giudizio di parte (chi sono io per farlo?).

Penso che la questione del “conflitto israeliano-palestinese” sia in realtà mal posta: e proverò a spiegare il perché.

Ma torniamo ai libri e alle storie che raccontano altre storie.
Ho trovato che la potenza della narrazione (una forma letteraria che più mi corrisponde ed appassiona, forse perché non sono una storica né per passione né tanto meno per formazione) riesca a far sì che il lettore meglio si immedesimi nell’altro. Di tutta questa “faccenda”, questo aspetto è fondamentale. Senza un’empatia vera e profonda, non è possibile non solo giudicare ma tanto meno provare a dire: questo sì e questo no. Perché qui sta il punto: bisognerà arrivare a dire: questo sì, questo no. Tengo a precisare che nell’immediato, qualsiasi forma di violenza è a mio avviso controproducente: sia quella dell’esercito israeliano sia quella dei combattenti o terroristi o come ognuno decida di chiamarli. E se si segue la logica di chi ha iniziato prima, si deve per forza tornare in Europa (un’Europa estesa anche alla Russia, s’intende!) e negli Stati Uniti.

Qui sta il punto. Ecco perché la “questione israelo-palestinese” è posta male: la lingua delimita una realtà semplificandola. La questione è molto più complessa e se il cittadino europeo e, di conseguenza, il suo rappresentante politico non “sente”, non percepisce la questione come propria, saremo sempre punto a capo. L’Europa non può lasciare agli Stati Uniti la gestione di tutta questa tragedia, essa deve – anzi dobbiamo - , a mio avviso, assumerci tutte le nostre responsabilità. Edward Said, David Grossman, Amos Oz, sebbene con sfumature (a volte sostanziali!) diverse, hanno sempre visto nell’Europa un interlocutore fondamentale.

Nella storia collettiva come in quella individuale si tende – si sa - a scaricare sull’altro tutto il peso delle proprie responsabilità. Ripetiamo all’infinito le semplificazioni di sempre: gli Israeliani sono i buoni perché è da secoli che subiscono, i Palestinesi sono invece i cattivi che tirano le pietre e che si fanno esplodere come bombe, non hanno voluto la pace nel ‘49 e allora adesso di cosa si lamentano? Oppure il contrario: gli Israeliani, o peggio ancora gli Ebrei, sono i cattivi sionisti che perseguono un terrorismo di stato mentre i Palestinesi sono le povere vittime. Allora come se ne esce? Ma soprattutto: noi, in tutto questo, possiamo davvero chiamarci fuori e puntare il dito contro l’uno o l’altro, con tutti gli anatemi annessi e connessi? Ritenendoci magari “superiori” perché non ci siamo impantanati in tanto sangue che sembra non esaurirsi mai ?

Sento bruciare tra i tasti del computer le parole – quando si parla di queste tragedie, tutto diviene incandescente. Meglio dunque proseguire con le mie letture che, se alimentate in tutte le direzioni, possono rischiarare qua e là e aiutare a capire, a sospendere il giudizio di condanna dei buoni e dei cattivi e a rafforzare una “terapia collettiva” che possa aiutare la politica europea a intervenire in termini di giustizia e di pace. La consapevolezza collettiva può, in taluni casi, sostenere la politica ad agire.
Per le parti coinvolte, sarà dolorosissimo, ma come dice Oz, è l’unica via possibile.

E io povera “padanese”, cristiana e cattolica (non Kattolica!) sperduta nell’oceano dei blog, cosa posso fare? Nulla di rilevante e significativo, non ho né la statura né i mezzi. Ma la mia storia mi ha portato qui. Ciò che oggi mi dà un senso è mettere in rete un po’ alla volta le mie riflessioni, traduzioni e sintesi.
Il blog è uno strumento stupendo per la diffusione delle idee e delle informazioni. Per questo, cerco sempre di scrivere la fonte di ciò che traduco e cito, è un segno di rispetto nei confronti di tutti coloro che si imbatteranno nella “mia bibliothèque de nuages” e che vorranno sfogliarne qualche pagina.

ECCO PERCHE' “MI PIACE” VIAGGIARE CON GLI SCRITTORI FRANCESI (ma non solo!)DEL XIX° SECOLO

La lettura dei viaggiatori francesi del XIX° secolo mi ha aiutato a cogliere quel filo potentissimo, ma oggi quasi invisibile o, peggio ancora, per alcuni addirittura inesistente, che da sempre lega la Terra di Palestina, di Israele, di Terrasanta (o come la si voglia chiamare), insomma (!) il Levante, con la nostra vecchia Europa.

La rilettura dei viaggiatori francesi e inglesi del XIX° secolo che ne ha fatto Edward Said, nel suo ormai celeberrimo saggio Orientalismo, mi ha restituito un’immagine di me stessa e della cultura di cui sono intrisa un po’ diversa da come me l’ero, a mia insaputa, costruita nel corso degli anni. Ho provato a cercare di capire. Ho provato ad ascoltare le ragioni dell’altro. Non è un esercizio che mi tocca ferite personali e collettive profonde: lo posso quindi fare perché non sono coinvolta emotivamente in questa tragedia sebbene abiti in Italia. Il caso (?),la Provvidenza (?), Dio (?), l’Eterno (?) mi ha fatto nascere qui a Verona, cristiana e cattolica. Punto. Per trovare me stessa ho dovuto tornare anche a queste origini. Ma ad ognuno la propria storia. Il proprio percorso.

Dopo queste letture mi sono chiesta: quale sguardo occidentale si è venuto a posare (o a violentare?) la Terra d’Oriente? Quanto siamo tutti in qualche modo responsabili di ciò che sta avvenendo in Israele, nei Territori Occupati, in Cisgiordania, a Gaza? Perché noi Europei non siamo consapevoli di questa responsabilità che ci lega a doppia mandata con quella Terra? Perché, a livello di opinione pubblica, si è sempre così ideologicamente divisi?

La lettura di questi libri non solo mi ha restituito la Francia e la Gerusalemme del XIX° secolo, ma mi ha dato l’opportunità di cogliere i cambiamenti di un’epoca. Tre date di viaggio: 1806,1848, 1894. Pochi gli uomini: un aristocratico con il suo domestico (François-Réné de Chateaubriand con Julien), due giovani letterati laici (Gustave Flaubert e Maxime Du Camp) e un militare (Pierre Loti), contemporaneo all’Affaire Dreyfus, alla ricerca di un senso da dare all’esistenza. Viaggiare con loro mi ha offerto una prospettiva che mi ha aperto orizzonti e punti di vista inaspettati in tutte le direzioni.

Nella mia “bibliothèque” sto cercando di riordinare i diversi appunti che ho buttato giù in occasione dei diversi incontri, conferenze che ho tenuto su questo argomento. Non sono un’esperta, e non mi definisco tale. Non sono nemmeno una viaggiatrice di razza. Ma mi è sempre piaciuto viaggiare e poi, per viaggiare o buttar giù qualche appunto, bisogna per forza “essere qualcuno”?

Adesso sto viaggiando con Chateaubriand e sto preparando il post numero 6.
Sono convinta che questo scrittore francese, vissuto a cavallo tra il XVIII° e il XIX° secolo, possa darci oggi più che mai, qualche strumento in più per leggere e cercare di capire, non solo la nostra cara e vecchia Europa, ma anche e soprattutto, la Terra di Palestina, di Israele, di Terrasanta (o come la si voglia chiamare). Forse ci aiuta a comprendere la tessitura fitta di legami che questo lembo di Terra ha con la nostra storia. Si tratta di una testimonianza, a mio avviso, preziosissima poiché ci restituisce lo sguardo che noi cristiani, cattolici (o Kattolici?) abbiamo sempre avuto nei confronti degli Arabi, dei Turchi, ma anche e soprattutto degli Ebrei.

Chateaubriand ragiona per categorie e per appartenenze religiose e culturali. Da un lato c’è la società civilizzata, la Francia, dall’altro ci sono i selvaggi: i popoli del Levante.
Noi Europei cristiani siamo in parte figli anche suoi e siamo così profondamente intrisi di “Chateaubriand” nel bene e nel male, chi più consapevolmente chi meno, che non possiamo chiamarci fuori dalla tragedia che si sta consumando in quella Terra.

Oggi parte di questa terra è divenuta lo Stato di Israele. E il resto cosa sta diventando?
Non so se sono rimasta critica e lucida nei confronti della realtà di Gerusalemme, (se facciamo fatica “noi” a farlo, noi che ce ne stiamo tranquillamente nelle nostre città europee, come possono rimanerlo le persone pienamente coinvolte e che vivono da generazioni e generazioni questo dramma? come possiamo noi puntare il dito contro questo popolo o l’altro? E noi cristiani? Cattolici? O Kattolici? Come ci poniamo nei confronti di tutto ciò?).

Sono convinta che ogni cittadino europeo debba diventare consapevole di questo per poter significativamente partecipare alla costruzione di una pace possibile.
Non mi sento una cristiana infervorata, subisco il fascino unito al dramma di Gerusalemme e della sua storia. O meglio, della nostra storia in quanto appartiene a tutti gli uomini al di là di qualsiasi fede e appartenenza.

Ieri 7 marzo 2008 (ma quante volte è accaduto!), la Gerusalemme ebraica suonava a lutto.
E tutte le altre?

1 commento:

Angela ha detto...

Maddy, trovo Chateaubriand in queste riflessioni irritante (sebbene ami il suono del suo nome) con le sue idee di cristiani caritatevoli e arabi selvaggi. L'Europa ha apportato grandi danni con il suo espansionismo e la storia del mondo ne porta il segno. Non penso solo a Israele ma anche all'Iraq alla fine del secondo catastrofico conflitto. Oggi paghiamo il prezzo di una storia secolare e coloniale che ha portato dentro di sè il seme violento come direbbe la Weil della forza della Roma imperiale. Non dico che gli Arabi siano migliori di noi, dico che l'uomo adotta tale forza e questi sono i risultati! Tuttavia, c'è da aggiungere, che ogni volta bisogna schierarsi con chi è più debole e più esposto, con chi paga il prezzo più alto dell'eccidio della guerra e dei conflitti. Pur amando l'Europa, pur amando Israele, pur volendo la vita di tutti, ascolto e osservo dove oggi c'è più devastazione. Ed è proprio in nome della Storia che mi fa nascere per mia fortuna dalla parte dei potenti che mi spingo a schierarmi dalla parte degli sconfitti. Conosco Masina e i suoi viaggi con Paolo VI in Palestina: se ascoltiamo i racconti che nessun giornale vuole ospitare e nessuna tv vuole mostrare, non avremo dubbi, sulla perversione del mondo occidentale e sul pericolo di Israele di assomigliarci nel peggio. Nessuno di noi ha ragione in guerra ma se ho più potere, più risorse, più denaro ho meno ragione: dovrei usare invece questi strumenti e esercitare potere per uscire fuori dalla crisi non per acuirla. In quanto a noi occidentali, il cristianesimo lo abbiamo tradito da un pezzo; possiamo oggi chiedere il rispetto dei cristiani ai quei paesi che negano la libertà religiosa non in nome della fede semmai in nome del diritto della persona di esistere. Dovremmo testimoniarlo a partire da casa nostra: portando rispetto agli altri credenti che ospitiamo. Sono i valori laici, quelli che non si appropriano di ideologie di stato-famiglia-religione a garantire la pace e il diritto.
Con stima
Angela