lunedì 24 marzo 2008

LUCI ACCESE di Bella Chagall: cap.XXII IL PROFETA ELIA

disegno di Marc Chagall
Gli episodi legati alla Pasqua, che ho tratto e tradotto da Lumières allumées di Bella Chagall (éd. Trois Collnes, 1948), andrebbero letti in quest'ordine:
cap. XX - LA VIGILIA DI PASQUA
cap. XXI - IL BANCHETTO DI PASQUA
cap. XXII - IL PROFETA ELIA

(Ecco come Bella ricorda il seder di Pasqua:)

Sfiniti dal mangiare e dal recitare la storia dell’Esodo, mastichiamo i pezzi del duro affikòimen[1]. Solo papà è seduto come si conviene a un Re. Appoggiato ai suoi cuscini, gli occhi chiusi, mangia lentamente, come se si stesse chiedendo: “Dove ci porta adesso il Signore?”. D’un tratto, apre gli occhi e rivolge uno sguardo a mamma. Lei cambia posto, sfoglia la Haggadàh – il racconto dell’Esodo –, prende una candela consumata a metà da un candelabro e si rivolge a me:
“Vieni, Bachinka. Prendi con te la Haggadàh!”.
Sussulto come toccata dal fuoco. La paura e l’emozione mi prendono il cuore perché, da sola con mamma, vado incontro al Profeta Elia per aprirgli la porta. Con la Haggaddah aperta in una mano e la candela nell’altra, tranquille, usciamo dalla sala da pranzo. Gli uomini restano seduti a tavola. Non si muove nulla. Tutti ci guardano e ci accompagnano con lo sguardo: sembrano benedirci come fossimo due messaggeri. Attraversiamo il salone buio, l’importante è non arrivare tardi! Ci mancherebbe solo che Elia, il Profeta, arrivasse in casa nostra e trovasse la porta chiusa! La piccola fiamma, resa esigua dal nostro respiro, ci illumina appena la strada e la candela, come se avesse essa stessa paura dell’oscurità circostante, lacrima gocce. Entriamo nel piccolo vestibolo. Il cuore batte ancora più forte: si allontana dal profondo per salire fino al cielo e poi ricadere, per lo spavento, sul pavimento scuro. “Attenzione! Tieni la candela!” mi dice di corsa la mamma e spinge di nuovo la porta che dà sulla strada. La notte buia si riversa dentro, accorre come il vento, soffia sul viso, sulle gonne e quasi spegne la candela, ci fa vacillare.
“Ecco! – penso – Il Profeta Elia deve essere vicinissimo, probabilmente sta per arrivare. Il suo carro volante fa vibrare l’aria con le sue ali. I suoi cavalli infuocati corrono dietro a una nuvola.”
Ho paura di guardare dall’altra parte della porta, di impigliarmi contro qualcosa. Le ombre avanzano sotto i nostri piedi. Scorgo solo un lembo di cielo. Brilla come un velluto nero che ha reso buia la via. Sulla volta buia, una piccola stella nuota come un pesce nell’acqua, e stupisce di luce le tenebre. All’improvviso, guarda dentro la porta e sosta proprio sopra di noi. Mamma tiene gli occhi bassi. Non vede nulla. E se la piccola stella volasse fino dentro alla porta? E se, d’un balzo, Elia o il Messia in persona si mettessero dietro di noi? Tremo. Ascolto. Ovunque silenzio. Cade dal cielo, sulla strada, sopra le case. Non si sente nessun passo. Nei lampioni, una fiammella si fa sempre più sottile. Nella casa di fronte, attraverso le finestre, erra il riflesso di una candela accesa. In ogni casa, adesso, una porta è aperta? E davanti a ogni porta, si trova una madre con la sua figlioletta e una candela in mano? D’un tratto, una confusione alle nostre spalle. Le sedie si muovono. Forse, tutta l’intera tavola si è mossa: gli uomini avranno sentito aprire la porta. Si sono alzati tutti e leggono la Haggadàh a voce così alta che sembrano voler svegliare addirittura la notte. Ce ne stiamo là, seppellite sotto le loro voci. Mi metto vicino a mamma. Vorrei stare incollata alla sua gonna. Se la notte buia ci travolge, io almeno sono con lei! La piccola candela vibra, oscilla e si china da tutte le parti. La prendo con le mani, la proteggo dal vento perché non si spenga, altrimenti restiamo al buio – che Dio ci protegga – di fronte al nero della porta spalancata!
Senza far rumore, mamma recita la Haggadàh : forse è convinta che la notte muta ascolterà meglio le sue preghiere silenziose. Le labbra si muovono appena. Le rughe le solcano il viso. Gli occhiali le scivolano giù dal naso. La candela fonde… Che ci abbiano dimenticate, qui in piedi? Metto la sedia sotto il Libro, sotto le mani di mamma: che le sue ardenti benedizioni scendano su di me e non avrò più paura.
“Profeta Elia! Abbi pietà! Vieni veloce da Lassù! Fa freddo e buio. Entra in casa. Tutti ti aspettano. Ci sarà più caldo, anche per te. Non senti come papà prega? Lui che non grida mai, oggi prega con una voce così forte. Vieni dunque, Profeta Elia! Vieni!”.
Un filo di luce passa attraverso alla porta, fende l’aria. Voglio alzare il capo, vedere ciò che fa mamma, ciò che accade al cielo. I miei occhi sono così colmi di oscurità che non riesco ad aprirli. Quasi non riesco a sopportare la luce e mi si contraggono gli occhi.
“L’anno prossimo a Gerusalemme!”. Dalla sala da pranzo, scappa fuori un mezzo grido. Le sedie di nuovo si sono avvicinate alla tavola e c’è silenzio.
“Mamma, il Profeta Elia è già entrato in casa?”.
“L’anno prossimo a Gerusalemme!” esclama lei a mo’ di risposta, sulla porta aperta.
Guardo fuori, nella strada. Il vento si è calmato. Il cielo è cosparso di stelle, grandi, piccole, accorse fino a qui da tutti gli angoli del mondo. Occhieggiano come piccole candele accese con il capo chino. Si incrociano, una trafigge l’altra: tutte oscillano nella volta, come in un baldacchino, sotto cui si sistemerà presto la luna bianca, come una sposa in tutto il suo splendore.
Appena chiusa la Haggadàh, mamma fa un gesto con le mani, come se volesse accarezzare l’aria o far scendere qualcosa dal cielo. Forse, forse… non vuole andar via dalla porta aperta. Dà un’ultima carezza, un bacio e chiude la porta. In silenzio, rientriamo. La frescura della notte ci soffia sulla schiena, come se ci prendesse per le spalle con le sue mani fatte d’aria. Nella sala da pranzo, c’è luce e fa caldo. Tutti sono seduti, gli occhi bassi, mormorano la Haggadàh. Giro il capo qua e là. E’ venuto il Profeta Elia? Il mio cuore colmo d’emozione si fa muto
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Traduzione di Maddalena Cavalleri
NOTE AL TESTO
[1] Durante il seder vengono utilizzate 3 matzot che vengono tenute coperte da un panno. all'inizio della cena viene spezzata in due pezzi quella di mezzo. Il pezzo più piccolo viene rimesso tra le due rimanenti, mentre il pezzo più grande viene utilizzato come Afikomen, ovvero l'ultimo pezzo di matzah che verrà consumata durante il pasto. Vi sono due usanze riguardo l'afikomen, entrambe con lo scopo di tenere i bambini attenti allo svolgersi della cerimonia. In entrambi i casi l'afikomen viene nascosta: nel primo caso da uno dei bambini per poi essere cercata dagli adulti e, nel caso questi non la trovassero pagando il bimbo per la sua restituzione. L'altra usanza prevede, invece, che a nascondere l'afikomen siano gli adulti e venga premiato il bambino che la ritrova. (fonte: it.wikipedia.org)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Grazie per aver pubblicato in rete questo libro. Non riuscivo a trovarlo pubblicato....
Ho letto la prefazione di Chagall e mi sono venute le lacrime agli occhi pensando a quanto spirituale dovesse essere il loro legame.

Anonimo ha detto...

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