La
grande vie si apre con
una lettera a Marceline Desbordes-Valmore (1786-1859). Fa freddo, l’autore si
trova alla Gare du Nord. Si sente smarrito in mezzo alla folla, ha bisogno di
un riparo. Lo trova nei versi di Un Rêve
intermittent d’une nuit triste. La voce di questa poetessa, giunta da un
tempo lontano, ora è lì, vicinissima. “I libri sanno ascoltarci”, dice Bobin
durante una presentazione del volume. Come sempre, per lo scrittore francese,
un libro è un volto che apriamo e che può consolarci. Con lui possiamo fare un
po’ di strada, trascorrere del tempo. Un libro è una voce, un volto che ci
viene in soccorso, che ci illumina e che ci può restituire la vita nella sua
pienezza. La lettera rivolta alla poetessa amata da Hugo, Baudelaire e Rimbaud,
fa da Ouverture a tutto il libro, suddiviso
in sette parti, ciascuna recante un titolo tratto da frammenti di frasi che si
trovano al suo interno. Sette sezioni ovvero sette note, ma potremmo dire sette
parti vocali di una grande e unica partitura, ciascuna caratterizzata da brevi
quadri che, come righi musicali, si possono sovrapporre gli uni sopra gli altri e
dove Bobin scrive la grande vie, la
bella vita che non è quella che possiamo incontrare nelle grandi gioiellerie di
Place Vendôme, ma quella che troviamo in ciò che vi è di più semplice e di più
disarmato. Come i tre clochard che egli
scorge sugli Champs Elysées dove si sente perso. Senza questo stato d’animo,
simile a quello provato alla Gare du Nord, egli non sarebbe stato in grado di vedere,
di scorgere una donna china su di loro. Questo gesto, questa scena: il volto di
un clochard che prende luce dal gesto
della donna, è pura poesia - la grande
vie. E se alla Gare du Nord a dargli riparo è stata una poesia di Marceline
Desbordes-Valmore, ora è la vita reale a riportarlo alla vita pura dove un volto d’uomo si illumina di
gioia per una parola di sollievo ricevuta.
Anche in quest’ultima opera, Bobin
ci restituisce quella parte di noi, a volte un po’ bistrattata, tenuta in
sordina. Con la sua voce, noi entriamo nella vita in pienezza. Ogni quadro ci porge
la luce necessaria per vedere. “Cos’è vedere?”, si chiede nella prima sezione
del libro caratterizzata per di più da episodi di vita quotidiana, dove il fuoco
del camino, la cucina, uno scoiattolo, il gesto di tagliare il pane, una lieve
ferita al dito, gli rivelano un senso della vita trasfigurato, nonostante il
dolore e il male.
In questo libro, ritroviamo i
temi e gli amici tipicamente bobiniani: gli animali, i fiori: “ho iniziato i
miei studi nei libri e li ho continuati nella lettura dei fiori e degli animali”[1]; qui e là scorgiamo i suoi
affetti, le passeggiate, le visite al cimitero dove sono sepolti i suoi cari; insieme
a lui, impariamo ad osservare la gente che egli incontra e che trasfigura in folla
o volto, come la madre china sul proprio bimbo in un negozio di alimentari; Bobin
riesce a dare corpo a “La donna in blu” intenta a leggere una lettera, dipinta
da Vermeer o trasfigura il paesaggio, che riaffiora lungo la strada di Le
Creusot mentre egli guida dietro a un camion, in un quadro di Soulages; “un’orgia
di smeraldi”, è il titolo della seconda sezione, che ci restituisce le sue
letture sterminate, ripulite da narcisismi letterari: la penna scorre da Jean
Baptiste Chassignet, autore del XVI secolo agli scrittori del ‘900: Ernst
Jünger, l’amico André Dhotel, Marcel Jouhandeau, Robert Antelme; insieme agli
scrittori incontriamo i poeti delle diverse epoche che riaffiorano qui e là nel
libro: Omero, Hölderlin, Mallarmé, Hopkins, Ronsard, o il caro Jean Grosjean; con
Bobin ascoltiamo la musica jazz del pianista Thelonious Monk e quella di Jean
Sébastian Bach cui egli dedica un intero quadro de La grande vie; e poi ancora i filosofi: Kierkegaard, Descartes; e i
mistici e i santi: Thérèse de Lisieux, San Paolo alle cui parole, che suonano
come un “sole nero”, egli contrappone la leggerezza di un bimbo di tre anni che
trottola tra le tombe del cimitero alla ricerca di sassolini blu: “ho visto un
bambino di due anni e mezzo spazzare via la morte e scacciare il tempo del
mondo. Questo lavoro titanico lo faceva canterellando, come è giusto che sia”.
E tra i tanti volti di donna
emerge, in tutta la sua fragilità, il mito di Marilyn Monroe, la martire
del sorriso, titolo della sezione a lei interamente dedicata composta da un
unico quadro, tutto per lei.
Ma non potevano mancare gli
angeli vestiti di rosso e le riflessioni sulla lettura, la scrittura e sulla
morte.
La
grande vie si chiude con
un quadro solenne ma allo stesso tempo delicato e intimo, consacrato a una
donna, a una madre che non c’è più. A sua madre? Forse. La morte sul viso la fa
assomigliare a una bambina eschimese. È lei che lo ha accompagnato tra le mille
angosce, è da lei che ha imparato a vivere: i suoi gesti quotidiani, fedeli,
rasserenanti gli hanno insegnato a pulire lo sguardo.
Gli hanno insegnato a scrivere.
di Maddalena Cavalleri
Sulla 4^ di copertina:
«Les palais de la
grande vie se dressent près de nous. Ils sont habités par des rois, là par des
mendiants. Thérèse de Lisieux et Marilyn Monroe. Marceline Desbordes-Valmore et
Kierkegaard. Un merle, un geai et quelques accidents lumineux. La grande vie prend
soin de nous quand nous ne savons plus rien. Elle nous écrit des lettres.»
Christian Bobin.
Christian Bobin.
Di seguito i link di alcuni video dove si
possono trovare delle interviste a Bobin fatte in occasione dell’uscita del
libro La Grande Vie:
Trasmissione di La Grande
Librairie condotta da François Busnel
Presentazione svoltasi
presso la libreria La Procure a Parigi (maggio 2014)
Recensione del giornalista
François Busnel apparsa sul settimanale L’Express
il 6/03/2014
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