domenica 11 gennaio 2015

QUADERNO DI LUCE



Un altro piccolo libro di Christian Bobin, è stato pubblicato in Italia. Come sempre, dobbiamo ringraziare piccoli editori che con buona volontà cercano di far conoscere uno scrittore che sa offrire parole di sollievo e riflessione. 
La piccola casa editrice è il Gruppo Aeper di Bergamo (http://www.cooperativaaeper.it/) e il libro, Un sole che sorge, è stato loro proposto e tradotto da Norina Sottocornola, una grande appassionata di Christian Bobin. Il libro si può acquistare direttamente dal sito della casa editrice oppure su internet book shop (www.ibs.it).
Per Aeper ho scritto una postfazione che propongo qui sul mio blog con l’intenzione di diffondere la lettura di questo piccolo grande tesoro di luce.
Il libro viene proposto in Italia con il titolo Un sole che sorge ed è apparso in Francia con il titolo Carnet du soleil nel 2011 grazie alle edizioni Lettres Vives.

GLI ALBERI SONO DEI POSTINI MERAVIGLIOSI
Una biblioteca di nuvole

“Un giorno, senza pensare a nulla, guardai il tiglio fiammeggiante davanti alla finestra e appresi che Ghislaine aveva smesso di morire. Erano trascorsi tre anni dal funerale. Gli alberi sono dei postini meravigliosi” . Così Christian Bobin nel suo Una biblioteca di nuvole. Tutta la sua opera, però, è come una grande “biblioteca di nuvole”, una sorta di diario senza data, segnato dal mutare delle stagioni dove il ricordo rincorre e trasforma, come le nuvole nel cielo, i volti delle persone care che non ci sono più: la tanto amata amica Ghislaine, il padre colpito dalla malattia di Alzheimer, gli scrittori Jean Grosjean e André Dhôtel ma anche autori del passato come Emily Dickinson, Kiergegaard, Teresa D’Avila, Teresa di Lisieux, Giovanni Della Croce, senza tuttavia tralasciare alcuni amici viventi come Jean-Marie Kerwich, Alexandre Romanès.
Quando Bobin pubblica Una biblioteca di nuvole, nel 2006, dieci anni sono trascorsi da quel tragico 12 agosto 1995, giorno in cui la sua amica e coetanea Ghislaine muore per un aneurisma al cervello, all’età di soli 44 anni. Da quel momento, la scrittura di Bobin, già meditativa e densa, diverrà una risorsa preziosa per elaborare il lutto di questa grande perdita. Se allarghiamo lo sguardo su tutta la sua opera, molto vasta e cospicua, ci rendiamo conto che la scrittura non è solo una via per resistere al buio della vita, ma è, soprattutto, un carnet du soleil dove egli immerge tutto se stesso per fermare sulla pagina le scintille di luce che ancora può scorgere grazie allo sguardo di bambino. È lo stesso Bobin, infatti, a definire il “mestiere” di scrivere un métier d’enfant: tutta la sua scrittura è tesa a mantenere questo particolare sguardo sul mondo, perché “un libro perfetto ha due pagine” che, come “ali di farfalla”, disperdono nell’aria polveri di leggerezza.
La maggior parte dei libri di Bobin si caratterizza per le sue frasi brevi, spesso folgoranti, intime, sovente distanziate da spazi bianchi che danno respiro alla scrittura e invitano alla meditazione. Il silenzio, lo scrivere, l’amore, la vita, l’infanzia, la donna, le madri, la natura, i passeri, il tiglio davanti a casa, la malattia, la morte, il dolore e tanti altri sono i temi che danno avvio alla sua prosa poetica. Altre volte si tratta di un dialogo con autori del passato come Emily Dickinson, Marceline Desbordes-Valmore, Rimbaud, Pascal, Racine, o più vicini nel tempo come Antonin Artaud, André Dhôtel, Nella Bielski, Jean Genet, Marylin Monroe e tanti altri.
Christian Bobin è un autore indubbiamente prolifico: dalla metà degli anni ‘80, scrive e pubblica mediamente un libro all’anno. Tuttavia, non è un dissipatore di parole: al contrario, le impiega con sapienza. Come una ricamatrice, china sul proprio lavoro, cuce sulla pagina, un giorno dopo l’altro, quei lampi di luce che uno sguardo distratto non sa più catturare, quasi nutrisse il bisogno esistenziale di restituire a se stesso e al lettore istanti di vita pura: "Se le mie frasi sorridono è perché sgorgano dal buio" . Così ne L’Homme-joie, al cui interno, nel cuore del libro, l’editore francese ha voluto inserire la riproduzione manoscritta del carnet dai fogli celesti che Bobin aveva scritto nel 1980, con la sua grafia calda e rassicurante, a Ghislaine, appena conosciuta.
In tutti i suoi scritti, egli ci accompagna in un’altra dimensione, in una vita rinnovata, dove ogni stagione ha una durata nel tempo e un’estensione nello spazio. Se guardiamo ad alcuni titoli dei suoi primi libri, pubblicati in Francia tra gli anni ‘80 e ‘90, Sovranità del vuoto, Lettres d’or, L’elogio del nulla, Un livre inutile, Il distacco dal mondo, per citarne solo alcuni, possiamo intravedere la luce che essi emanano e ascoltare il silenzio che vi dimora: vuoto, nulla, distacco, inutilità dello scrivere evocano una dimensione appartata e raccolta in cui poter sostare. Bobin, come il colporteur (titolo di uno dei suoi primi libri), percepisce se stesso come un viandante con un sacco di parole sulle spalle che se ne va di casa in casa per portare le voci e i pensieri che si rincorrono da un paese all’altro. Ma, più che portatore di merci da vendere, egli si fa portatore di parole da offrire come sollievo, come dono. Lo fa percorrendo i luoghi della Borgogna che gli sono familiari: Le Creusot dove è nato e vissuto, la foresta e il laghetto di Saint Sernin, la cittadina di Antully, la cattedrale di Autun; i luoghi dell’Isère: il lago di Saint Sixte, la chiesa del piccolo villaggio di Saint Ondras, amatissimo da Ghislaine e il cimitero dove ora lei è sepolta. E tanti altri luoghi.
Quando scrive questi libri, Ghislaine è già entrata a far parte della sua vita. In questo primo periodo, fino al 1995, egli sembra non avere ancora conosciuto il vuoto portato dalla perdita e dalla morte delle persone care. Tuttavia, sin dagli esordi, egli inizia, grazie alla scrittura, un vero e proprio elogio del vuoto ovvero un esercizio di attenzione e di ascolto nei confronti dell’altro e del mondo esterno: dove il vuoto è la dimensione necessaria per rimanere in equilibrio come un funambolo sul filo della vita. La penna di Christian Bobin non è quella del narratore, dell’affabulatore, di colui che sa tessere e narrare delle storie con una trama ricca, tanti personaggi e grandi avventure. Al contrario, egli è meditativo, la sua scrittura è essenziale e le storie sono soprattutto storie interiori, riflessioni, stati d’animo. Vere e proprie folgorazioni per l’anima. A volte, egli ci parla della sua vita. Lo fa senza maschere. A volte racconta di sé, di ciò che gli accade: in modo esplicito o più nascosto. Spesso sono episodi dolorosi: la malattia del padre (Presenze), il dolore per la morte dell’amica Ghislaine, madre di tre bambini (Più viva che mai). Racconta le giornate di quella solitudine in Autoritratto, un diario che inizia il 6 aprile 1996, vigilia di Pasqua, e si conclude il 21 marzo 1997: uno sguardo quotidiano sulla vita, sulla morte. Meditazioni che continuano in Resuscitare e in Geai, un romanzo di formazione dove il piccolo Albain sembra fare da controcanto all’Antoine Roquentain de La Nausea di Sartre. Tra gli altri libri pubblicati in Italia, ricordiamo L’uomo che cammina, in cui Gesù è colto nel suo folle camminare; Francesco e l’infinitamente piccolo, la storia dell’infanzia di Francesco d’Assisi, libro dedicato a Ghislaine, a quel tempo ancora in vita; Folli i miei passi, che narra di una bimba nata e cresciuta in un circo. E ancora due libri, Mille candele danzanti e La parte mancante, che raccolgono una decina di brevi racconti scritti con una prosa densa e poetica dove la donna è sempre e comunque la grande protagonista e dove Ghislaine, a parere di chi scrive, è presente in filigrana. È lo stesso Bobin a rivelarcelo nel libro che scrive subito dopo la sua morte: “Tu conosci la stanza dove scrivo […]. Scrivevo per te, scrivevo solo in te, orientavo il foglio bianco verso il tuo viso, per captare più luce possibile” .
Tuttavia è con La luce del mondo (pubblicato in Francia nel 2001) che inizia, nella vita e nella scrittura di Bobin, una nuova altra stagione. Si tratta di un libro-intervista in cui Lydie Dattas, sensibile e raffinata scrittrice, conversando con l’autore, ci restituisce la voce, senza la freddezza delle domande, in una forma espressiva da cui affiora non solo la profonda intesa letteraria e spirituale tra i due scrittori, ma anche quello che potremmo definire il manifesto di Christian Bobin nei confronti del “mestiere” dello scrittore, di cui egli dice: “mi aspetto soltanto quello che ho ricevuto dai miei genitori: che mi consoli, mi illumini, mi aiuti a crescere e a separarmi da lui. Le vecchie canzoni francesi mi hanno donato davvero tanto” . 
Nella produzione letteraria di Bobin, anche il libricino che ci viene qui proposto, pubblicato dieci anni dopo La luce del mondo, segna una sua riconciliazione profonda con la morte e con la vita. Lo scrive quindici anni dopo la morte di colei che egli “ha inseguito per sedici anni”, quasi a voler rimanere fedele a una promessa fattale un giorno durante una delle loro passeggiate. Un episodio che vale la pena di raccontare, per meglio cogliere la luce che affiora dalle pagine di questo carnet. Pochi giorni prima di quel tragico 12 agosto, durante una delle loro passeggiate, egli annuncia all’amica l’intenzione di voler scrivere un libro su di lei e le confessa di avere già pronta la prima frase: “Se benedico questa vita è perché tu ci sei”, Ghislaine scoppia a ridere e per tutta risposta gli chiede: “E se io non ci fossi più in questa vita, cosa scriveresti?” A questa provocazione, Bobin in un primo tempo smarrito (entrambi ancora ignorano la morte che di lì a poco verrà), le promette che continuerà a scrivere benedicendo la vita comunque. Ghislaine ne ride soddisfatta e gli raccomanda di continuare a scrivere e non di fare mai della letteratura. Bobin non può non obbedirle: da sempre, ogni giorno, rinnova la propria obbedienza alla vita, quale che sia. Da qui la leggerezza greve della sua prosa perché, come scrive egli stesso nel suo Una biblioteca di nuvole: “la morte e la vita sono così legate l’una all’altra che non capisco perché siano state inventate due parole per esprimere quell’unico bagliore” .
Ne La luce del mondo vi è un momento in cui egli parla del dolore lacerante provocato dalla morte di Ghislaine e della scrittura che ne è scaturita: “[…] i miei primi libri dicevano l’ombra e la luce insieme, ma in Più viva che mai, che racconta la morte di un essere caro, la morte è resa irreale. La sofferenza in me ha lungamente scritto in rosa: ho portato il reale verso il rosa, mi sono messo in uno stato di assenza di gravità, per soffrire di meno. È come se avessi scavalcato il mio dolore chiudendo gli occhi per non vederlo, e ciò ha probabilmente permesso ai lettori di fare la stessa cosa e di attraversare l’impensabile. In realtà, quando ho assistito a quel funerale, ho vissuto un’esperienza quasi insostenibile: all’uscita di chiesa, c’era una campana che suonava. Non sapevo che si potesse fare tanto male all’aria. Come se la campana, per una specie di esperimento scientifico, avesse tolto l’aria fino all’asfissia. Oggi non voglio più sottrarmi al dolore. Voglio scrivere e leggere dei libri che accompagnino realmente in questi momenti, senza eludere la sofferenza, libri che non mi tradiscono e che non rischino di coprire il rintocco a morte” .
Con questo Carnet du soleil, Christian Bobin ci accompagna in questa nuova stagione fatta di rinascite e spoliazioni dove affiora la gratitudine per ciò che è stato e dove “ciò che trovo è mille volte più bello di ciò che cerco” .
Un salto nella vita, o nella morte, che verrà.

Postfazione di Maddalena Cavalleri, tratta da Christian Bobin, Un sole che sorge, Edizioni Aeper Bergamo, 2014. Traduzione di Norina Sottocornola.

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