martedì 11 dicembre 2007

LUCI ACCESE di Bella Chagall: cap.XIII REGALI DI HANNUKKAH



Una volta la mamma mi ha detto che ero nata ad Hannukkah, nel giorno della quinta candela.
Ma chi è che lo sa a casa nostra?
Nessuno dei fratelli pensa minimamente al giorno in cui è venuto al mondo.
“Ebbene? nasciamo! Una novità nel villaggio! E allora?” I fratelli ridono. “Cosa vuoi? Nascere un’altra volta?”
Papà esplode: “Cos’è? Così all’improvviso un’altra festa?... Solo una mente profana poteva inventarsela!”
Allora ad Hannukkah ero tutta contenta soltanto per le due monete da 10 copechi – i nostri “soldi di Hannukkah” – che noi piccoli, ricevevamo dal papà e dal nonno.
Con quei soldi, avremmo noleggiato una slitta e saremmo andati in passeggiata. Ogni giorno saremmo stati pronti per una passeggiata con un vero cavallo!
Così, quelle due monete d’argento suonavano e cantavano ai nostri orecchi come le campanelle della slitta che ci avrebbe portato in giro per la città.
Particolarmente brillante era la moneta d’argento del nonno; si sarebbe potuto credere che l’aveva fatta lucidare proprio per Hannukkah.
Di mattina presto, la vigilia di Hannukkah, ricordo che io e Abrachka correvamo verso la casa del nonno.
Se dorme ancora, lo sveglieremo. Forse si è completamente dimenticato che in giro per il mondo è Hannukkah?
Il nonno vive, per il tempo che gli rimane, in una via – ma come è potuto accadere? – interamente non ebrea. Si chiama Offitserskaia, la via degli Ufficiali. Probabilmente abita in questa via perché, non lontano, si trova la grande corte circondata dalle sinagoghe.
È una via di casettine bianche, completamente bianca. La via più tranquilla della città. Nessun negozio, nessuna confusione. Ci si potrebbe veramente addormentare. Persino una risata – in mezzo alla strada - non sarebbe possibile. Da dietro i vasi di fiori posti come sbarre alle finestre, affiorano i copricapo fioriti delle vecchie nonne. Scuotono il capo:
“Birbanti! Smettetela di ridere!” Come se in tutte quelle casette stessero a letto nonni ammalati.
Sono talmente basse che probabilmente ci si può stare soltanto a letto. Ma se un uomo alto volesse rimanerci in piedi? Dovrebbe piegarsi in due. Probabilmente è per questa ragione che mio nonno e mia nonna diventano ogni anno sempre più piccoli.
Altre casettine si sono completamente abbassate. I vecchietti che vivono laggiù sembrano crescere nella terra, e non sappiamo se i vasi di fiori che se ne stanno alle finestre vengano su direttamente dalla terra.
Dall’interno, non si vede e non si sente il minimo rumore.
Le casette sono tutte avvolte nella neve come soffici coperte calde. I muri chiusi su se stessi, come sordi. Il vento soffia la neve dentro le finestre, riempie le fessure, eppure le vecchie tende di pizzo non si muovono. Il fumo dei camini vaga liberamente come un ubriaco attraverso i tetti. Il vento si spinge da tutte le parti, si distende in lungo e in largo uscendo con forza fuori dai camini, come se ci fosse troppo caldo dentro le case che sembrano sciogliersi sotto la neve: sotto un bianco sudore.
“Allora, sognatrice addormentata! Cos’hai da guardare da tutte le parti?” scoppia a ridere di colpo Abrachka.
All’improvviso, dall’altra parte della via, mi lancia una risata sonora e palle di neve.
“Sei matto! Smettila di gridare! Si precipiteranno tutti fuori dalla porta!”
“Con questo freddo? Scommettiamo! Cosa scommetti?”
Dietro a un recinto, si erige un albero tutto bianco. Un vecchio albero, probabilmente. La neve gli si è adagiata sopra come le dozzine di cuscini sul letto della nonna. I rami la reggono a fatica.
Abrachka sale sul muretto, si arrampica sull’albero e lo scuote.
L’intero albero oscilla. Blocchi di neve cadono come pietre.
Un ramo nudo cede e si spezza.
“Brutta bestia! Non c’è abbastanza neve nella strada? Cosa ti fa se se ne sta adagiata sull’albero?
“L’albero è mio quanto tuo! Saresti una sua parente?”
Ho voglia di precipitarmi in una di quelle casettine, poco importa a casa di chi. Forse dietro alla porta c’è una nonna vecchiotta e posso nascondermi da Abrachka, sotto le sue sottogonne di stoffa.
La casa del nonno si trova in fondo alla via. Una piccola casetta come tutte le altre. Gli stessi vasi gremiti di fiori, le stesse imposte ben tagliate, sagomate come dolci di zucchero d’orzo; la neve stipata nelle piccole fessure e sul tetto, lo stesso fumo.
Eppure questa piccola casetta sembra più bianca e più calda di tutte le altre.
Abrachka appena è davanti alla porta, tira il cordone del campanello. Il campanello emette una tosse roca e ripiomba nel silenzio.
“Ah è così! Siete già qui bambini? Mi stavo preparando per andare al mercato e sono già qui per i soldi di Hannukkah!” È Frida! La vecchia cuoca della nonna. Apre la porta con sulle spalle un grande scialle.
“B-r-r-r! Che freddo che avete portato! Su, entrate! Fa davvero così freddo fuori? Devo mettermi addosso uno scialle come te Bachinka?”
Batte i piedi, e con i piedi, salterellano sul suo viso piccole macchie di rossore. D’inverno sembrano gocce secche di grasso che si è dimenticata di lavare. Sempre di corsa, sempre in un vortice. Dice che va al mercato ma a casa sua il pasto è già pronto. Sentiamo bene che in cucina sta friggendo qualcosa.
“Frida, ci darai da assaggiare una patata fritta?”
“E tu come lo sai che sto friggendo delle patate?”
“Frida, il nonno dorme ancora?”
“Come dorme?” Quando dorme? Non fa altro che studiare la Torah!” scaccia via la gatta dal cesto. “pssh… via! Ma guarda qui, un nuovo nascondiglio, ficcarsi nel cesto!”
Al suono della voce di Frida, la gatta si sveglia e con i suoi occhi a mandorla, sprizza fuori luce: ha visto la neve che ci è rimasta ai piedi. Alza la coda, si sistema i baffi e si stiracchia fino a noi giusto per venire a leccare una goccia fredda di neve. La neve si scioglie sul naso e inizia a starnutire.
“ proprio un cervello da gatta!” Abrachka la tira per la coda “va dire piuttosto al nonno che siamo qui!”
“Perché devi disturbare la gatta? È una fannullona. Io sono molto più veloce di lei!”
La nonna compare sulla porta. Entra talmente piano che il suo sorriso, così dolce, sembra averle addolcito il passo.
“Con un freddo simile, piccoli miei? Di sicuro si tratta di una spedizione importante?...” E ci rivolge un sorriso, “dai veloce Bachinka togliti lo scialle e vieni a scaldarti vicino alla stufa, ma attenta a non bruciarti! Hanno appena chiuso il tubo!”
Se ne sta in piedi vicino a noi, confusa.
“Vuoi un bicchiere di latte caldo? Cosa posso offrirvi da mangiare, di mattina presto?” All’inizio non sa cosa fare. Aiutarci a sgomberare oppure offrirci qualcosa? Il volto e i capelli bianchi sono luminosi. I piccoli fiori del suo copricapo fioriscono come a metà estate. Lei è dolce, grassottella, calda come una stufa di maiolica bianca.
In casa non c’è spazio nemmeno per girarsi. Ogni cosa è stipata e cade giù da tutte le parti; la nonna ha costantemente paura di prendere freddo, ogni spizzico di spazio libero diventa per lei una corrente d’aria.
“Nonna, oggi è festa! Hannukah!”
Abrachka le salta subito addosso.
“Cosa dici! Calmati! In piena Hannukkah non devi far cadere per terra tua nonna, andiamo! Non è per attirare la cattiva sorte ma sei diventato grande in questi ultimi tempi! La nonna cerca di tenersi in equilibrio sulle sue piccole gambe.
Abrachka si spaventa: ci manca solo che la nonna si arrabbi!
“Sei comunque un bravo ragazzo, Avramel! “ sorride “venire di mattina presto per annunciare questa notizia! Volevo proprio informarmi dal nonno… Senza di te non l’avrei nemmeno saputo, birbante! Bene, avvicinati! E bacia prima di tutto la mezzuzah sulla porta. Il maestro te l’ha ben raccomandato, no?
Anch’io nonna voglio baciarla!
Dove ti spingi tu piccolina, sei una ragazza no?
Abrachka mi scaccia come fa con la gatta che si trascina tra le gambe
Per lui va bene. E’ un ragazzo e può darsi delle arie.
Forse è meglio essere un gatto che una ragazzina che tutti prendono in giro.
“Smettila di dar noia alla piccola!”
Tutto a un tratto, la nonna si prende la testa tra le mani, come se si ricordasse di qualcosa.
“Non hai preso freddo vero? Vieni, adesso ti do una cosa, Bachinka!”
“Dei lamponi, nonna!” Le corro dietro, so che quando la nonna dice “prendere freddo” vuol dire che tira fuori da qualche nascondiglio un vasetto di lamponi che, da lei nell’armadio dei vestiti, è seppellito in mezzo a tutte le altre marmellate.
“Tieni, Bachinka, prendi questo con te e dì alla mamma che ti dia sempre, prima di andare a letto, un bicchiere di tè caldo con i lamponi. Dille che è un rimedio per tutto. Per un colpo di freddo, è la miglior medicina.
“Nonna? Dov’è il nonno? Non lo vediamo”
“Entriamo! Eccolo. È lì in piedi vicino alla stufa.”
Attraverso la porta mezza aperta della sala da pranzo, vediamo, scintillante come un grande specchio bianco, una stufa di maiolica bianca, e, vicino alla stufa, un’ombra nera: è il nonno che oscilla il corpo in preghiera. E noi che pensavamo che stesse ancora dormendo! Dormire? Ho l’impressione che da quando lo abbiamo visto, alla vigilia dello Shabbat della settimana scorsa, sia sempre rimasto lì in piedi vicino alla stufa e che non sia ancora andato a dormire.
Addosso, lo stesso paltò di mezza lunghezza, di stoffa lucida, sottile e nera, tutto a pieghe come la fronte. Lo stesso paltò, estate inverno. Sotto, non vediamo la magrezza del suo corpo. Quasi non ne avesse uno.
Il volto risplende. Gli occhi sono pensosi. Oscilla in preghiera. Con una mano, si accarezza un filo di barba, con l’altra fa un nodo nell’aria. Si direbbe che interpreti solo per sé stesso un passo del Libro rimasto sulla tavola, cosa che gli fa muovere il capo da una parte all’altra.
Non vede nessuno dei due. Gli occhiali sulla fronte e le sopraciglia ispide e folte gli nascondono gli occhi. La barba bianca cade giù come un ciuffo di neve. I basettoni lasciano scoperte parti di guance anch’esse bianche. Per il calore della stufa, sotto la pelle molto delicata, si intravedono vene un po’ arrossate.
Abbiamo paura di andargli vicino. Sulla maiolica bianca si muove la sua ombra. Il nonno sembra lontano da noi, con un piede nell’altro mondo.
“Bachka, guarda!”. Il fratello mi tira per la manica. “Guarda, ecco i dieci copechi sul tavolo!”
Il nonno! Ha pensato anche a questo! E io che credevo che pensasse solo alle cose di Dio!
Ma il nonno non distoglie il capo dalla finestra. Il sole brilla e si riflette nei suoi occhi, come se avessero esaurito tutta la luce del cielo! Ecco, sembrano accendersi! Sulla finestra è appesa la lampada di Hannukkah, la lampada d’argento vecchio e scuro con al posto delle candele, le piccole cavità ancora nude. Ma gli occhi del nonno accendono con un colpo solo, come fiammiferi, tutte le otto piccole cavità.
“Nonno!” Non possiamo più trattenerci e ci fermiamo spaventati dalle nostre stesse voci.
“Ah!... che cosa c’è?” Il nonno sembra uscire da un sonno profondo. “Aiga! Sembra che sia entrato qualcuno. Fa la fatica di andare a vedere!”
“Ma sono i bambini di Alta, Avremel con la piccola Bachka!” gli grida la nonna dalla sua camera.
Il nonno volge il capo tutto bianco verso di noi. Vedendoci, sorride. Corruga il volto. Sorridendo, è cambiato. È diventato un’altra persona. Il volto si è sciolto, come cera calda.
“E io avevo pensato…” – il nonno lascia cadere gli occhiali dalla fronte e da sotto le lenti dà un’occhiata al fratello – “mi ero detto: vedrai che quando Avremel avrà fatto iniziato il suo cammino religioso, non penserà più ai soldi, non è vero Avremel? E il nonno gli dà un pizzicotto leggero sulla guancia.
“ Bene! Vieni qui! Ti devo esaminare un po’ ? Dimmi…” – la voce dolce gli si spezza – “dove sei arrivato nei Cinque libri? È un bel po’ di tempo che vai a studiare dal rabbino…”
Sulla tavola scintilla la moneta da dieci copechi. Ad Abrachka gli gira la testa. Quella moneta d’argento gli stuzzica gli occhi. Gli è vicinissima, davvero vicina. Può persino quasi toccarla con la mano. Non vede l’ora di guardarla. Cosa c’è raffigurato sull’altro lato? La stessa aquila, come sempre, no?
La voce del nonno è come un ronzio. Le mani gli prudono: gli piacerebbe far piroettare almeno una volta sulla tavola la moneta da dieci copechi. La tavola lucidata è scivolosa: la moneta sarebbe volata via come una rotellina. Avrebbe potuto scivolare dalla tavola e ….zac? per poi andarla a cercare in tutte le fessure del pavimento di legno! Gli occhi rotondi di Abrachka strabuzzano dallo spavento; deve afferrare i dieci copechi. Afferrarli velocemente prima che il nonno cominci a interrogarlo e che si metta ad ascoltare i passi che ha imparato e che ha già dimenticato.
E se al nonno venisse voglia di tirar fuori dall’armadio i Cinque Libri di Mosé, cosa si fa?… Iniziare a salmodiare come a scuola con il rabbino. Così, trascorrerà tutta la giornata. Verrà buio. Allora dove potrà trovare un cocchiere, un cavallo? Chi l’aspetterà? Tutti i ragazzi già partono, imbacuccati nelle slitte … e lui.. Ad Abrachka gli si stringe il cuore. Cadrà addormentato assieme al nonno vicino alla stufa calda. Il calore gli sale al viso come se fosse lui e non il legno a bruciare nella stufa ardente. Fa pena guardarlo. Le dita gli tremano. La testa è come gonfia. Dagli occhi gli sprizzano fuori lampi di fuoco, come se i 10 copechi d’argento fossero già suoi.
“Una moneta da 10 copechi!” continua a dirsi Abrachka. Quando riceverà gli altri 10 copechi dal papà, allora potrà girare tutta la città con la slitta. Quale cocchiere non lo prenderebbe? Abrachka dovrà soltanto tenere in mano la moneta d’argento. E quando ne mostrerà anche solo un angolino al cocchiere, vedrà gli occhi di Ivan uscirgli dalla testa. Questo zoticone, subito dopo, si scalderà tutto e si metterà a convincere Abrachka che il suo cavallo, la sua slitta sono impareggiabili (non hanno uguali) e che li ha ereditati da un signore di un castello!
“C’è una pelliccia” inizierebbe a dire Ivan “distesa sopra la slitta. Non importa se sembra una vecchia capra morta. L’hanno usata per coprirsi, i figli del signore del castello!”
E per il suo cavallo cosa non farebbe Ivan! fischierebbe dall’entusiasmo. “Basta frustarlo e vola come un’aquila! Non è cosa da poco: la stessa moglie del signore del castello se ne è andata dappertutto, con lui in passeggiata”
“E che ne dici dei miei sonagli? Non suonano come tutte le chiese insieme? Siediti solamente: lascia che il cavallo si sposti…” La grossa voce di Ivan gli risuona nelle orecchie come una tromba.
Abrachka non ce la fa più più; si alza da dove è seduto e prende la moneta d’argento.
“Aspetta, non così velocemente! Hai tutto il tempo! Perché ti precipiti in questo modo? Faresti meglio a sbrigarti a imparare il discorso per il tuo barmitzvah!”
Abrachka solleva il capo. Chi è che parla così? Non Ivan! La mano del nonno si è posata sulle sue dita agitate.
“Baruch, dagli i dieci copechi! Una goccia di gioia per i bambini! Non vedi”, dice la nonna al nonno, “ il ragazzo non sta più nella pelle ! Non riesce più a star fermo! E la piccola se ne sta lì con la testa nelle nebbie.”
Senza fiato, corriamo fuori dalla casa del nonno con i dieci copechi in mano.

Il fratello si scatena per le strade. Persino le neve brucia sotto i suoi piedi e con le mani, non smette di fare mulinelli: forse vorrebbe far risuonare i suoi dieci copechi d’argento fin dentro i mezzi-guanti.
“C’è ancora una slitta? Ancora un cavallo?” gli risuona in testa.
Mi fermo un attimo, mi si è disfatto uno zoccolo.
“Quando si inizia ad andar via con una ragazza?.... ma che lenta!” Abrachka, invece di aiutarmi, mi grida dietro. “La smetti di andare così piano? Prima il nonno, poi tu con i tuoi zoccoli! Vedrai che avranno preso tutte le slitte!”
“Che colpa ne ho io?, se gli zoccoli nuovi mi scivolano via dai piedi.” Ma voglio pungerlo “Il nonno è di sicuro arrabbiato con te, non hai lasciato che ti facesse domande su quello che hai imparato!
“Ma cos’hai ancora? Perché mi spacchi la testa! Dì piuttosto, con chi andiamo via? con Ivan? o con Berel, lo svitato che zoppica da un piede?
“Chi vede che zoppica? E’ seduto allo stesso posto e ha un cavallo con le zampe dritte”.
“Perché non far diventar zoppe anche le zampe del cavallo? Tanto di lui si può credere qualsiasi cosa! Un tal furbone! Ha-ha!”
“Signorino! Avremel! Signorinella!” I cocchieri ci hanno visto. Ci conoscono. Se ne stanno sempre in fila in fondo alla via. A gara, si soffiano e si battono le mani dal freddo e dalla noia.
“Avete ricevuto i soldi di Hannukkah? Quanto ti hanno dato? Bene, mostra! Allora sali su! Sali piccola!”
I cocchieri si spingono tra loro. Un cocchiere più anziano – ha probabilmente molto freddo – si lascia scappar fuori dalla bocca un vapore molto denso, come se ci si volesse scaldare. E quando parla, la sua barbetta gelata va su e giù come una scure con la quale mozzerebbe ogni parola che gli esce dalle labbra.
“Vieni piuttosto con me” Non vale proprio la pena di star dietro a quello!” Non vedi che ha un cavallo che sembra una vecchia asina come lui!”
“Quel cavallo? Ne ingoierebbe altri dieci come il tuo! Che l’angelo della morte ti colga!” I cocchieri continuano a insultarsi.
“Va pure! Ti fregano tutti, signorino mio! Insomma ti fai sempre portare da me! Guarda un po’ signorinella, come starai al caldo sotto questa pelliccia nera!”
Ivan sbuca di corsa da dietro le slitte e ci raggiunge con uno scivolone.
Sembra pieno come un otre, ma si inchina leggermente da un lato. Poi, come farebbe per i suoi vecchi padroni, disfa la coperta di montone ammuffita e…… ci siamo!….. tutti e due siamo già sulla la slitta.
“Fi!” gli altri cocchieri sputano per terra “Che cosa si può fare con un diavolo simile?”
Ivan sferza l’aria con la frusta, solo un colpo! ma il cavallo ha continuato a tremare e ha tirato su la coda come un gatto quando viene bagnato con acqua fredda.
“Hue! Vecchio ronzino! Hue!” Ivan si rianima fino a sollevarsi dal sellino. I sonagli risuonano e non smettono di tintinnare.
“Hop! Hop!”
Le grida e la frusta volano e bruciano, come con acqua bollente, la groppa fredda del cavallino che, furente, cerca di sfuggire a Ivan; si stira, lavora di reni, così la sua coda lo sferza di più della frusta di Ivan. Le ossa della groppa vanno a sbattere contro le stanghe di legno: sembrano voler strapparsi la pelle da sole.
Al ritmo del cavallo, volteggiamo nella slitta. Un momento, sprofondiamo nella neve, un altro ci sentiamo sballottare. Non c’è tempo per riprendere fiato. Veniamo trascinati via come se avessimo le ali.
“Hue! Peste! Hue! Hue! Ha! Hop! Hop!” grida in questo momento Ivan, come posseduto.
Fischia, schiocca la lingua, si spolmona, si solleva, si gira e si rigira sul sellino. Dalla sua schiena ci scivola addosso una montagna di neve. Un vortice di neve corre dietro a noi e tutto intorno.
Il cavallo è cosparso di neve: gli scende giù dagli occhi, gli ricopre la testa, il dorso fino a schizzargli fuori dalle narici. Dalla bocca gli esce un vapore denso. Scuote la criniera, come ubriaco e fa tintinnare tutti i sonagli.
Nuotiamo dietro a lui come in una corrente d’acqua. La città se ne vola via da tutti e due i lati: una via svanisce e si confonde con un’altra. Neve densa turbina nei viottoli come farina rovesciata dai sacchi. Dove siamo? In un soffio, abbiamo volato sopra il grande giardino della città. Solo un istante fa, era là, pieno di alberi, in cima alla collina e di colpo, se ne è volato via come un fiocco di neve nell’aria. Dov’è la grande chiesa? Chi mai potrebbe averla spostata? Ora è scivolata via, si è staccata dalla terra. I muri bianchi hanno lasciato uscire un soffio di neve, la croce d’oro ha appena avuto il tempo di brillare … e ha perforato il cielo.
Le guance mi bruciano, mi pizzicano. Protendo le mani: voglio afferrare qualche casa, qualche via. Ma dinnanzi a me tutto vola via: finestre, imposte, insegne, tutto – il vento ha il sopravvento, la neve inghiotte tutto.
Lontano dalla città ora – ci sembra di esser stati trascinati nell’aria – non vedo più nulla. Il gelo morde. La neve si incolla agli occhi e pizzica le sopracciglia.
Ho freddo alla testa. La neve penetra nei capelli fino a farli diventare duri: da prendere e da tagliare con il coltello. Il collo è tutto bagnato, pieno di neve.
Batto i piedi. La coperta di pelliccia è da un po’ di tempo che è tutta fradicia. Ci fa ancora più freddo. I piedi sono come pezzi di legno; da non riuscire nemmeno ad alzarli. Voglio scuotere Abrachka. Ma che cos’ha?
Il vento fischia. Non sento più il fratello. Solo un momento fa scalciava come il cavallino. Perché non esce più vapore dalla bocca di Abrachka? Il mio viso brucia. Ci congeleremo? Mamma! Mamma! Dov’è la mamma? Anche lei è volata su in cielo? Ci sgriderà:”Dove siete? Dove vi siete nascosti? Ai confini della terra?....”
“Trr…” la slitta si ferma bruscamente, quasi rovesciandoci.
“E dove sono i 10 copechi!” Ci sveglia il vocione di Ivan.
Con il guanto di pelliccia, grosso come una zampa d’orso, ci tocca gli occhi. Tira fuori dal mezzo-guanto di Abrachka i 10 copechi. Ivan fa scivolare la frusta sotto il cinturone e sputa prima in una mano, poi nell’altra, butta in aria la moneta come se volesse pesarla, provarla sotto i denti.
“Vero argento! Duro come ferro?” Strombazza ridendo
“Ivan dove siamo?”
“Siamo rientrati a casa, piccolina, a casa.”
Mi volto. E’ vero. Davanti a noi, come sempre, si erige la grande chiesa. I muri, il tetto, la croce – sono tutti ritornati dal cielo. E il cielo si è chiuso: ha scacciato le nuvole. Lassù, sola, una piccola stella smarrita scintilla.
Sulla collina è cresciuto di nuovo il grande parco. Casettine, negozi, finestre – Ogni cosa si è rimessa a posto.
Scivoliamo fuori dalla slitta. Da dove siamo tornati? Ivan ci ha lasciati giù nella nostra via grande e larga.

(brano tratto da Lumières allumées, di Bella Chagall, ed Trois collines, Svizzera, 1948 - Traduzione di Maddalena Cavalleri)
foto 1: Vitebsk agli inizi del 900; foto 2: copeco russo

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