Non scrivo con l’inchiostro.
Scrivo con la mia leggerezza. Non so se riesco a farmi capire: l’inchiostro, lo
compro; ma non esiste un negozio per la leggerezza. Viene, oppure no: dipende.
Quando non viene, è già presente. Mi capite? È ovunque, la leggerezza: nella
freschezza insolente delle piogge estive, sulle ali di un libro abbandonato ai
piedi del letto, nel suono delle campane del monastero all’ora delle funzioni,
un clamore infantile e palpitante, in un nome mille e mille volte sussurrato
come quando si mastica un filo d’erba, nella fata che è la luce alle svolte
delle strade serpeggianti del Jura, nella povertà esitante delle sonate di
Schubert, nel rito di chiudere lentamente le imposte sul far della sera, nel
tocco sottile di blu, blu pallido, quasi viola, sulle palpebre di un neonato,
nella dolcezza di aprire una lettera attesa, prolungando di un secondo
l’istante di leggerla, nel rumore delle castagne che si schiantano al suolo e
nella goffaggine di un cane che scivola su di uno stagno ghiacciato: mi fermo
qui, la leggerezza, lo vedete, è donata ovunque. Se allo stesso tempo è rara,
di una rarità incredibile, è perché ci manca l’arte di ricevere, semplicemente
ricevere ciò che ci è donato ovunque. (Folli i miei passi, Christian Bobin).
venerdì 3 maggio 2013
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